Come si fa un’edizione critica

Vediamo concretamente come si fa l’edizione critica di un manoscritto recante varie serie di correzioni.

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Prendiamo come esempio un testo leopardiano molto noto, e particolarmente indicato per la qualità e la quantità delle correzioni: La luna o La ricordanza,il cui manoscritto – appartenente come quello che abbiamo visto dell’Infinito, al cosiddetto “Quaderno Napoletano” – è conservato tra le carte leopardiane presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli (C.L. XIII.22).

Di fronte al manoscritto leopardiano, che, come si è detto, è una copia “in pulito”, ma che reca interventi di vario genere, la prima domanda da porsi è: quale lezione metto a testo?

Se decidiamo di documentare l’ultima lezione del manoscritto dobbiamo trascrivere il testo comprendendo in esso tutte le correzioni, immediate e tardive, ossia quelle scritte con la penna base (quella utilizzata per la stesura base del testo) e quelle scritte successivamente. Terminata l’edizione del testo possiamo cominciare a trascrivere le correzioni e metterle in apparato. Avendo scelto di pubblicare l’ultima lezione del manoscritto, il nostro apparato sarà genetico e rappresenterà, indicandole con esponenti numerici, le fasi della correzione, utilizzando il corpo minore (di due punti) per le cassature in rigo, e registrando le ulteriori correzioni tra parentesi tonda corsiva che, per non disturbare la lettura delle fasi correttorie, sarà anch’essa di corpo minore.

Possiamo vedere concretamente un’esemplificazione di questo metodo nella rappresentazione delle correzioni sul titolo, che passa da 1«La Luna» a  2«La Luna o la Ricordanza» a  3«La Ricordanza». Ricordiamoci che le fasi sono sempre indicate da un numero a esponente, che tra una fase e l’altra si devono lasciare almeno due punti di separazione e che se una fase è ricavata da un’altra per riuso di materiale testuale – come una o più lettere – essa va introdotta dall’abbreviazione da cui, oppure da una freccia diretta →.

Come mai abbiamo ritenuto che il titolo originario fosse «La Luna» e non «La Luna o la Ricordanza»? In questo caso non è possibile seguire solo le indicazioni provenienti dal ductus o dall’inchiostro (che è identico nelle due fasi), ma utili elementi vengono dalla posizione topografica nel testo. Se il titolo originario fosse stato: «La Luna o la Ricordanza» l’autore l’avrebbe posto perfettamente al centro della pagina, e non spostato a destra come si vede dall’autografo. Segno che il titolo «La Luna» era già scritto e che Leopardi ha aggiunto allinearmente a destra la seconda parte del titolo: «o la Ricordanza», intervenendo poi, in una terza fase, mediante la correzione della “l” dell’articolo da minuscola a maiuscola. Questa correzione, però, non sembra essere coeva alla scrittura base, ma rivela piuttosto una somiglianza con alcune correzioni interlineari al v. 2 e ai vv. 7-8 e al v. 9. Sono correzioni che intervengono, infatti, in una fase successiva e contemporanea alla scrittura dei testi che seguono La Luna nel quaderno napoletano (il «secondo tempo» degli Idilli, cfr. Italia 2007).

Da questa osservazione deriva la possibilità di identificare diversi livelli di correzione del testo, corrispondenti a diverse penne, indicate con lettere alfabetiche (A, B, C, D), che accompagnano gli esponenti numerici delle varie fasi correttorie. Nel caso di microcorrezioni, come quella del v. 5, l’indicazione della penna viene riportata tra parentesi tonda corsiva, in corpo minore. Infatti, all’interno di una fase correttoria vi possono essere ulteriori correzioni che, per non disturbare la lettura della fase stessa, sono rappresentate in corpo minore e in forma derivativa, come nel caso del v. 4 (su quella selva] 1Asopra quel bosco, da cui  2Asopra quel prato, (con prato riscr. su bosco)  3Asu quella selva, (as. a 2)  da cui  BT).

L’esempio ci permette di approfondire meglio l’uso delle abbreviazioni da, da cui e da cui T. La prima – da – viene utilizzata per rappresentare una correzione in cui il testo finale riutilizza una o più lettere della lezione precedente. L’abbreviazione, da cui (che può anche essere sostituita dalla freccia →), invece, identifica il riuso, nella variante successiva, di un’ampia porzione di testo della variante precedente. Quando quest’ultimo caso esita nella lezione a testo si usa l’abbreviazione da cui T (rappresentabile anche con la freccia → T).

La rappresentazione delle varianti ai vv. 7-8 mostra invece concretamente cosa intendiamo per apparato diacronico e sistemico. La prima definizione – diacronico – è giustificata dal fatto che l’apparato non si fa carico di rappresentare la topografia della correzione (ovvero di indicare dove sono posizionate le varianti, se sopra, sotto, a destra o a sinistra del testo), ma la sua diacronia, la sua evoluzione da un “prima” a un “dopo”, identificati da fasi numeriche (qui le fasi sono quattro, considerando anche l’ultima coincidente con la lezione a testo). La seconda definizione – sistemico – è ben evidente dal fatto che le correzioni non sono rappresentate individualmente, ciascuna legata al termine o ai termini a cui si riferisce topograficamente, ma nel sistema delle correzioni, comprendendo nella porzione finale tutto il testo coinvolto in variante. Variante che ovviamente può esorbitare dalla stretta misura del verso per coinvolgere anche il verso successivo (qui i vv. 7-8).

Da questo esempio possiamo capire come sia difficile, se non impossibile, per gli apparati di tipo verticale che parcellizzano le varianti e le legano strettamente ai termini più vicini topograficamente, rappresentare le correzioni che coinvolgono due o più versi (se ne veda l’esame puntale nel cap. § 3.4).

Nell’edizione del manoscritto di Alla Luna, appena sotto la fascia di apparato genetico, si trova un riquadro che accoglie la cosiddetta varia lectio, ovvero quell’insieme di varianti, citazioni, note di certificazione linguistica, osservazioni metatestuali che Leopardi è solito appuntare sui manoscritti e che ritroviamo, anche se in misura minore rispetto ad altri autografi napoletani, anche nel manoscritto di Alla luna dove, nel margine destro, e trasversalmente rispetto allo specchio di scrittura, Leopardi appunta una variante, probabilmente in una fase tardiva di correzione del manoscritto, come denuncia l’inchiostro rossiccio (qui catalogato di penna D).

Un’ulteriore fascia sottostante il riquadro della varia lectio accoglie le Note filologiche, distinte dall’apparato dal carattere corsivo (quando si trovano, invece, nella Nota al testo, sono più frequentemente in carattere tondo). Tali note hanno il compito di spiegare più analiticamente la fenomenologia dei manoscritti, e la dinamica delle correzioni, proponendo varie interpretazione del testo, oppure indicando i casi di dubbia lettura. Nelle Note filologiche si può inserire, sotto forma di commento, tutto ciò che si vorrebbe dire a commento di determinate scelte di apparato, ma che non è possibile costringere nel breve spazio al piede del testo.

Un criterio per capire se una scelta ecdotica è opportuna o meno è quello di valutare il rapporto tra analiticità ed economia della rappresentazione. Un buon apparato, infatti, si definisce tale quando rappresenta nel modo più preciso, chiaro e sintetico, il manoscritto e le sue correzioni e trasforma quello che, di primo acchito è un oggetto visivo e iconico, in un testo dinamico.

AN p. 1

Idillio

La Ricordanza

1                             O graziosa Luna, io mi rammento

2                             Che, or volge un anno, io sopra questo poggio

3                             Venia carco d’angoscia a rimirarti:

4                             E tu pendevi allor su quella selva

5                             Siccome or fai, che tutta la rischiari.

6                             Ma nebuloso e tremulo dal pianto

7                             Che mi sorgea sul ciglio, a le mie luci

8                             Il tuo volto apparia; chè travagliosa

9                             Era mia vita: ed è, nè cangia stile,

10                           O mia diletta Luna. E pur mi giova

11                           La ricordanza, e ’l noverar l’etate

12                           Del mio dolore. Oh come grato occorre

13                           Il sovvenir de le passate cose

14                           Ancor che triste, e ancor che il pianto duri!


APPARATO

tit. La Luna o La Ricordanza] 1ALa Luna → 2ALa Luna o la Ricordanza → 3BLa Ricordanza (con L su l)

2  Che, or volge un anno,] 1ACh’or volge un anno, (con an su al) → 2ACh’è presso a un anno, → 3BT    sopra] da su (penna A)

4  su quella selva] 1Asopra quel bosco, → 2Asopra quel prato, (con prato riscr. su bosco3Asu quella selva, (as. a 2) → BT

5  Siccome or] sps. a Com’ora (penna B)

7-8 a le mie luci | Il tuo volto apparia; chè travagliosa] 1Aa le (prima al‹le›) mie luci | Il tuo viso apparia, perchè dolente → 2Ail tuo bel viso | Al mio sguardo apparia, perchè dolente  3Ba le mie luci | Il tuo volto apparia, che travagliosa → 4DT

9  cangia] 1Acangia  2Bcambia (sps. a 1) → 3DT

11 ricordanza] da rimembranza (penna A)

12 come] sps. a quanto (penna B)

14 triste] da tristi (penna B)   il] da ’l (penna C?)


NOTE FILOLOGICHE

marg. dx trasv.

(12) (come sì grato) (penna D)

tit.  Il testo, inizialmente costituito dal solo titolo «La Luna», viene corretto con la stessa penna con cui è vergato il testo base (A) in «La Luna o la Ricordanza», e successivamente, con penna B, in «La Ricordanza». Le due fasi A nella scrizione del titolo sono identificate grazie all’abitudine di Leopardi di scrivere il titolo centrandolo esattamente sotto a «Idillio» (come in «La sera del giorno festivo» e in «La vita solitaria»).

2  Con penna A viene effettuata la prima correzione («Ch’è presso a un anno,»), così come quelle ai vv. 7-8 e 11.

4-5  Le correzioni con inchiostro più spesso e carico appartengono alla fase B.

7-8  Come già notava De Robertis 1984, vol. ii, p. 327, la correzione della virgola in punto e virgola dopo «apparia» e l’accentazione di «che», sembrano appartenere alla penna di colore rossiccio (qui siglata D).

9  La correzione di «cambia» in «cangia» è intervenuta tardivamente (De Robertis 1984, vol. ii, p. 327), con penna D, la stessa che al v. 8 introduce l’accento grave a «che» e con cui Leopardi scrive la variante nel marg. trasv. dx. «(come sì grato)»; nell’edizione «come» non è costrassegnato dal neretto perché si intende che la correzione del v. 12: «quanto»  «come», di penna B (diversamente da Lucchesini in Gavazzeni 2006, vol. I, p. 278, che ritiene la correzione di penna A) non sia intervenuta dopo, ma prima della scrizione della varia lectio.

14  La correzione su «tristi» copre con la gamba della «e» il punto della «i», costringendo a uno svolazzo anomalo nella usuale scrizione della vocale. Se la correzione di «’l» in «il» potrebbe appartenere alla fase C, per la serialità dell’intervento, la varia lectio marginale si avvicina invece maggiormente alla fase D, di cui condivide ductus e colore rossiccio (sempre De Robertis 1984, vol. ii, p. 327).

[Testo tratto da P.Italia-G.Raboni, Che cos’è la filologia d’autore, Roma, Carocci, 2016 [V ed.]).