GLOSSARIO DELLA TERMINOLOGIA FILOLOGICA

a cura di Enrico De Luca

L’Italia può vantare la pubblicazione di diversi repertori lessicali dedicati alla filologia, una disciplina che occupa un posto di rilievo nella storia della sua cultura letteraria: dal Lexicon linguisticae et philologiae di Emilio Springhetti (Roma 1962; in latino, ma con lemmatizzazione in italiano), al Dizionario di linguistica e filologia, metrica, retorica, diretto da Gian Luigi Beccaria e che ha visto scendere in campo a firmare i 2000 lemmi di cui è costituito una trentina di specialisti (Torino 20042); dal Glossario filologico di Enrico Malato, parte integrante del X volume della Storia della letteratura italiana (Roma 2001), poi ristampato con alcune integrazioni e addizioni con il titolo di Lessico filologico. Un approccio alla filologia (Roma 2008), al Dizionario della terminologia filologica di Yorick Gomez Gane (Torino 2013).

Meno ricco, ma comunque pregevole, è il panorama degli strumenti lessicografici prodotti all’estero: si pensi al Diccionario de términos filológicos di Fernando Lázaro Carreter (Madrid 19683) e all’ottimo Lexicon of Scholarly Editing, redatto di recente dalla European Society for Textual Scholarship (consultabile online).

Nell’ottica di un diffuso interesse per il lessico della pratica filologica, può risultare interessante approfondirne un particolare aspetto: il taglio storico-etimologico. Per farlo, ho scelto di presentare qui un campione esemplificativo del citato Dizionario della terminologia filologica di Yorick Gomez Gane. L’autore, infatti, pur partendo in molti casi da materiali già presenti sia nei repertori specifici segnalati poco sopra sia nei lessici storici, etimologici o dell’uso – come il Grande dizionario della lingua italiana (Torino 1961-2008) o il Grande dizionario italiano dell’uso (Torino 20073) -, indaga in profondità il significato dei termini filologici, documentandone l’uso, e alcune questioni storiche, aggiungendo tutta una serie di termini pertinenti alla filologia, intesa come critica testuale, non presenti negli altri repertori.

Il percorso etimologico e l’attenta documentazione d’uso rendono il Dizionario di Gomez Gane un vero e proprio dizionario storico della disciplina, come ha rilevato Claudio Marazzini nella sua recensione in «Lingua e Stile» (L, 2015, pp. 161 sg.).

Il campione scelto (pubblicato in questa sede per gentile concessione dell’autore e della casa editrice Accademia University Press di Torino) è costituito da 28 voci: accanto a quelle più caratteristiche del lessico filologico e quelle relative alla filologia d’autore, ho pensato di selezionarne anche qualcuna che potesse esemplificare il caso di tecnicizzazione di termini di uso comune (come «dare» o «leggere»). Materiali più ampi ma privi di un criterio di selezione potranno essere consultati in Google Libri, a cui rimando anche per la bibliografia e per gli elenchi delle abbreviazioni e dei segni convenzionali.

Tutti i lemmi (accompagnati dalle varianti grafiche, ove presenti, poste fra parentesi) sono strutturati, come è possibile verificare, nei seguenti paragrafi: definizione, trattazioni, attestazioni, fraseologia, etimologia e storia linguistica (e, in alcuni casi, da osservazioni aggiuntive finali), in cui trovano posto le puntualizzazioni grammaticali, le retrodatazioni dei termini, gli approfondimenti etimologici e altri aspetti storico-linguistici.

 

* * *

abbellimento

sost. m.

intervento congetturale con cui il copista o l’editore mira, secondo il proprio punto di vista e le proprie capacità, a rendere linguisticamente o stilisticamente migliore un testo già criticamente accettabile

(definiz. basata sui dati presenti in Pasquali Storia XVII, 138, 140, 145; accez. mancante in GDIU e GDLI)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Malato, Springhetti, Lazaro Carreter) –

Attestaz.: 1934 Pasquali Storia 138, 140: [138] Il Lachmann […] non avrà avuto idea delle mutazioni semiconscie […] e tanto meno delle rielaborazioni perfettamente consapevoli, degli «abbellimenti» dei quali parla qui lo Schwartz [… 140] rielaborazioni conscie e, forse più spesso, semiconscie, correzioni errate di errori presunti, abbellimenti possono venir trasmessi per collazione 1953 Timpanaro Contributi 675: Le sue [scil. di Girolamo Vitelli] innumerevoli congetture […] non toccano quasi mai passi corrotti, ma sono per lo più «abbellimenti» di passi sani 1978 Timpanaro Contributi 675 (cf. Attestaz. 1953)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Tecnicizzazione di abbellimento ‘l’abbellire, l’adornare’ (1304-08: DELI e GDLI). Potrebbe trattarsi di una onomaturgia pasqualiana (al pari di, e verosimilmente contestualmente ad abbellire: vd. la voce), visti gli esempi in Pasquali Storia, ora virgolettati ora no (cf. sopra le Attestazz.), e visto (cf. Attestaz. 1934, p. 138) lo specifico riferimento alla terminologia usata da E. Schwartz (in una non meglio specificata pagina dei Prolegomena di Eusebii Historia Ecclesiastica, a c. di E. Schwartz, vol. III, Lipsia 1909: cf. Pasquali Storia 135 sgg.). Non appare da escludere (specie nell’ipotesi di un’onomaturgia di Giorgio Pasquali, amante ed esperto di discipline musicali, come si evince da alcuni suoi scritti) un influsso dell’accezione musicale di abbellimento ‘nota o gruppo di note musicali che in una melodia sono ornamentali rispetto a un’altra nota’ (1829: DELI; trasportando il traslato, in critica testuale si tratterebbe di un ‘dato testuale che in un brano e “ornamentale” rispetto a un altro dato testuale’).

Osserv. aggiunt.: Il sostantivo abbellimento, come pure il verbo abbellire (vd. la voce), sono di norma usati in relazione all’attività del copista, ma non appare fuori luogo riferire sostantivo e verbo anche all’attività dell’editore critico, là dove operi interventi non necessari su un testo già criticamente accettabile (si tratta di congetture virtuose: cf. il nesso alla voce congettura, Fraseol.; congetture migliorative non di fatto ma solo nell’ottica del critico: cf. in questo Dizionario anche la voce pruritus emendandi e le espressioni analoghe a cui in essa si rinvia). A differenza di abbellimento e del verbo abbellire (vd. la voce), il più generico verbo migliorare (assieme ai derivati, ad esempio miglioramento o migliorativo), seppure usato per definire interventi sul testo non necessari, dunque inaccettabili (cf. Pasquali Storia 7 n. 2 “una «vulgata» migliorata arbitrariamente per avvicinarla all’uso classico”, 145 “la volontà di migliorare, di «abbellire» il testo”, e in parte anche 86 “egli comunica già «migliorate» quelle lezioni dello Spirense che sono o gli paiono senza senso”), si utilizza anche, se non soprattutto, per definire interventi testuali con cui di fatto si migliora il testo tradito (dunque accettabili): si comprende perciò come verbo e derivati non siano riusciti a tecnicizzarsi.

adespoto (adespota†)

agg.

che non riporta il nome dell’autore, anonimo

(GDIU; cf. GDLI; sulla variante del pl. masch. adespota† cf. le Osserv. aggiunt.)

Trattaz.: Beccaria s.v. codice2, Malato (manca in Springhetti, Lazaro Carreter) –

Attestaz.: 1751 G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana [], vol. I, Firenze 1751 (GDLI cita dalla 2a ed., 1768-1779): Egli [un passo appena citato] è in un Codice adespoto antigrafo intitolato: De Aere, & potissimum de Aere & locis Etruriae av. 1775 Bottari 3-1-163 (GDLI): Pietro Bel […] tratta degli scritti adespoti, o senza padrone 1950 adèspota (adèspoto) agg., XVIII sec. (DEI) 1961 Adèspoto (raro adèspota), agg. (GDLI) 1964 GDLI s.v. codice: Codice anonimo o adèspota: senza l’indicazione del nome dell’autore 1999 testo, codice a.[despoto] (GDIU)

Fraseol.: adespoto (1768 / av. 1775), adespota (1950)

Etimol. e st.: DELI (come poi GDIU) data av. 1775, essendo il 1775 l’anno di morte di G. G. Bottari, le cui Lezioni sopra il Decamerone, da cui è tratta la citazione in GDLI, furono pubblicate postume nel 1818 (2 voll., Firenze: cf. GDLI). La prima attestazione però va abbassata innanzitutto al 1768, anno di pubblicazione del vol. I dell’opera di Targioni Tozzetti (Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa dal dottor Gio. Targioni Tozzetti, 12 voll., Firenze 1768-1779: cf. SBN), e in secondo luogo al 1751, anno di pubblicazione del vol. I della prima edizione dell’opera di Targioni Tozzetti (Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa dal dottor Giovanni Targioni Tozzetti, Firenze 1751-1754). Secondo DELI e GDIU è voce dotta, dal latino tardo ade˘spo˘tu(m), dal greco adespotos ‘senza padrone’, composto di a– con valore privativo e despotēs ‘padrone’. L’aggettivo non è presente nel lessico filologico degli umanisti (cf. Rizzo), e nell’accezione qui studiata per il latino antico il Thesaurus l. Lat. (cf. poi DEI e GDLI) ci fornisce s.v. adespotos, -on un passo di Servio (più precisamente nel Servio Danielino o Servius auctus, un testo di larghissima diffusione a partire dalla sua pubblicazione nel 1600: cf. Enciclopedia virgiliana, vol. IV, Roma 1988, p. 807; il passo è Serv. auct. georg. 1, 227 in quodam adespoto Graeco sic positum est:; sul Servio Danielino), a cui va aggiunto (si tratta in verità di voce greca, ma concordata con una parola latina, dunque di ‘greco latinizzato’) un brano di San Girolamo (Hier. epist. 73, 1 misisti mihi uolumen ἀδέσποτον et nescio, utrum tu de titulo nomen subtraxeris an ille, qui scripsit, ut periculum fugeret disputandi, auctorem noluerit confiteri). Appare verosimile supporre che uno dei due brani citati possa essere la fonte del cultismo italiano (forse Servio, vista la sua maggiore diffusione). La variante adespota, segnalata come rara ma assente dagli esempi in GDLI s.v. adespoto (cf. poi la voce codice, del 1964, citata sopra tra le Attestazz.), sembra apparire per la prima volta in DEI, e potrebbe essere una retroformazione (erronea, ma spiegabile bene col sost. despota) dall’adespoti di Bottari (l’esempio che potrebbe essere alla base della datazione “XVIII sec.” di DEI: vd. sopra le attestaz. di Bottari e DEI).

Osserv. aggiunt.: Rientra nella critica del testo in quanto riguarda la critica dell’autenticità di un testo. GDLI cita Targioni Tozzetti dalla sola ed. contemplata, la 2a del 1768-1779 (“Targioni Tozzetti, 12-1-288: […] un codice adespoto, antigrafo, intitolato […]”). In APhN troviamo l’articolo di D. del Corno, I frammenti papiracei adespota della commedia nuova, editi nei Proceedings of the twelfth international congress of papyrology, Ann Arbor, Michigan, 12-17 August 1968, Toronto – Amsterdam 1970, dove però è presumibile che l’agg. pl. masch. adespota sia frutto di una correzione (adespoti sentito come erroneo) dei curatori inglesi del volume (cf. in ingl. adespota agg. pl., nel 1973 in APhN 42-01307, e adespota sost. m. pl. ‘scritti adespoti’, dal 1897 in base a OED s.v. adespota; nonché il riassunto ingl. in APhN ibid.: “Brief discussion and analysis of contents of adespota fragments of new comedy”). Il sinonimo anonimo è più vicino alla lingua dell’uso che alla terminologia tecnica filologica (cf. anche il tecnico anepigrafo). 

antìgrafo

agg., sost. m.

  1. agg.† detto della copia diretta di un altro manoscritto 2. sost. a. (?) copia diretta di un altro manoscritto b. modello diretto di un altro manoscritto

(sulle definizioni di GDLI, VLI, GDIU, e Beccaria, notevolmente diverse, cf. sotto le attestaz. e quanto esposto in Etimol. e st.; si noti che GDIU ha omesso l’uso aggettivale, originario)

Trattaz.: Beccaria s.v. codice2, Springhetti, Malato (manca Lazaro Carreter) – Cf. soprattutto Chiesa 69 sg., nonché Traina Propedeutica 306 e n. 5 (che rinvia ad Avalle Principi 91), Malato (che rinvia a Stussi Avviamento 93 n.) e La critica del testo (Atti) nell’indice tematico-analitico.

Attestaz.: 1. 1751 G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana [], vol. I, Firenze 1751, p. 182 (GDLI cita dalla 2a ed., 1768-1779): Egli [un passo appena citato] è in un Codice adespoto antigrafo intitolato: De Aere, & potissimum de Aere & locis Etruriae 1819 Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze, arti e mestieri che traggono origine dal greco compilato da Bonavilla Aquilino coll’assistenza del professore di lingua greca abate d. Marco Aurelio Marchi …, vol. I, Milano 1819, p. 257, s.v. antigrafo (GoogleRL, con foto): ANTIGRAFO, Antigraphus, Antigraphe. (Lett.) Scrittore o Notajo delle cose pubbliche, massime in materia de’ maneggi del danaro, notando le ragioni e le partite ne’ libri autentici […] Antigrafo, è ancora un aggiunto di Codice o simile, e vale che non è originale. Cor. Calep. Alb. Onom. 1863 Crusca5: Antigrafo. Add. Trascritto o Copiato da un altro esemplare; e dicesi specialmente dei Manoscritti. Dal gr. ἀντίγραφος – Targ. Viagg. 1, 288: Egli è un codice adespoto, antigrafo, intitolato ec. 1950 agg., XVIII sec.; detto d’un manoscritto trascritto da altro; v. dotta (DEI s.v. antìgrafo1) 1955 s.m. […] anche con valore di agg.: codice a., manoscritto antigrafo (DizEnc: testo completo sotto in 2.a) 1961 agg. e sm. (GDLI: testo completo sotto in 2.a) 2. a. (?) 1955 s.m. […] Manoscritto che è copia diretta di un altro manoscritto o codice; anche con valore di agg.: codice a., manoscritto antigrafo (DizEnc) 1961 agg. e sm. Manoscritto che è copia diretta di un altro manoscritto (GDLI) 1986 sm. […] 1. Manoscritto che è copia diretta di un altro manoscritto o codice; anche con valore di agg.: codice a., manoscritto antigrafo. 2. Con sign. opposto il termine è usato dai filologi romanzi per indicare, in contrapposizione ad apografo, il codice da cui derivano un altro o più altri codici (VLI) 1994 Si chiama antigrafo (dal gr. antí + grápho ‘contro scrittura’) il codice che è copia di un altro. In filologia italiana, però, assume anche il significato opposto, cioè ‘codice da cui si copia’ (forse per scambio di prefisso: ante– ‘davanti’, invece di antí-) (Beccaria 1a ed. s.v. codice2 ) 1999 sm. ts filol. […] 1 in filologia classica, copia diretta di un altro manoscritto 2 nella filologia romanza, manoscritto da cui ne derivano altri (GDIU) 2001 Malato: propriamente, manoscritto che è copia diretta di altro manoscritto; ma spesso usato nel senso opposto, di manoscritto da cui viene tratta una copia, oppure di “copia che serve da modello”, o genericamente “copia” b. 1900 In “Studi italiani di filologia classica” 8, 1900, pp. 3, 5, 6, 9, 23 (Google BS, p. 3 con foto parziale, p. 5 con foto, p. 6 con foto): [3] nell’antigrafo […5] quando il codice fu scritto, il suo antigrafo era ancora lacunoso [… 6] parrebbe che l’antigrafo del Niccoli avesse meno lacune che quello di A B C D [… 9] i fogli dell’antigrafo contenevano ciascuno in media 45 linee dell’edizione [… 23] Le cinque lacune pertanto di S traggono origine da esso stesso in seguito alla caduta di alcuni suoi fogli e non sono da imputare all’antigrafo 1965 P.G. Parroni, Vibii Sequestris De fluminibus fontibus lacubus etc., Milano-Varese 1965, p. 33[sg.]: È da presumere che anche nell’antigrafo il lemma in | questione sia stato espunto mediante segni particolari, ma che V1 non vi abbia prestato attenzione 1967-1971 Contini, Breviario 137: Gli errori comuni parziali definiscono gli antigrafi 1973 Rizzo 185: Exemplar […] ‘Esemplare di trascrizione, modello, antigrafo’ 1977 Contini, Breviario 29, 31: [29] tanto che spesso si riescono a ‘datare’ trascrizioni e antigrafi [… 31] Le considerazioni qui esposte presuppongono sempre la ‘verticalità’ della tradizione. Una tradizione ‘trasversale’, cioè che ha ereditato varianti alternative, o peggio che ha collazionato, puntualmente o sistematicamente, uno o più concorrenti del suo antigrafo, è una tradizione contaminata 1978 (titolo articolo) Mioni E. – L’antigrafo dell’Appendix Barberino-Vaticana all’Antologia Planudea, in Miscellanea, 1, Padova (SBN) 1979 Balduino Manuale 239 (1a ed.): dato un originale (w) e volendone accelerare i tempi di divulgazione, non conviene affatto farlo trascrivere dieci venti vote di seguito; piuttosto, tratta da w una copia, si farà assumere funzione di antigrafo anche a questa seconda, come poi alla terza, ecc. 1984 (titolo articolo) M. Palma, Antigrafo/apografo. La formazione del testo latino degli Atti del Concilio Costantinopolitano dell’869-70, in Il libro e il testo, Urbino 1984, pp. 307-335 (APhN) 1985 V. De Maldé, in La critica del testo (Atti) 568: dalle prefazioni firmate dal Ciotti risulta il progressivo abbandono della formula, già aldina, dell’antigrafo plurimo, misto di redazioni a stampa e manoscritte della più diversa provenienza, a favore del manoscritto unico, apografo o autografo 1986 (titolo articolo) M. Manfredini, Un antigrafo del codice plutarcheo Vatic. Gr. 1007, il Paris. Gr. 1673, in “ASNP” XVI, 1986, pp. 717-724 (APhN) 1986 (VLI: testo completo sopra in 2.a) 1992 Traina Propedeutica 305 sg.: il copista medievale […] leggeva e mandava a memoria dall’esemplare che aveva a modello (antìgrafo) un tratto di scrittura (perícope) piuttosto breve, che poi trascriveva sulla pagina del nuovo esemplare (apògrafo, e, da describo “trascrivere”, codex descriptus) 2002 Chiesa Elementi 69 sg.: Quando un testimone x viene utilizzato come esemplare per ricavarne una copia y, si dice che esso è antigrafo di y; al contrario, si dice che y è apografo di x. I termini antigrafo e apografo hanno senso solo all’interno di una relazione […] | indicano una relazione diretta: non si possono utilizzare per due testimoni che discendano uno dall’altro attraverso uno o più passaggi intermedi

Fraseol.: antigrafo plurimo (1985, in 2.b)

Etimol. e st.: Sui significati di antigrafo grava una certa confusione, tanto che Malato (p. XIII) parla di “incertezza anche tra gli specialisti” (cf. anche le osservazioni in Traina Propedeutica 306 n. 5, “Termine ormai usuale anche se, in origine, ἀντίγραφος significa esattamente l’opposto: ‘copia che sta al posto di [un altro testo]’ ”, nonché Avalle Principi 91, Stussi Avviamento 93 n., Malato). GDIU (attestaz. 1999 in 2.a) attesta esplicitamente che i filologi classici fanno un uso del termine opposto a quello dei filologi romanzi (analogo bipolarismo, benché la filologia classica non sia esplicitamente citata, in VLI e Beccaria: attestazz. 1986 e 1994 in 2.a; più cauto Malato: attestaz. 2001 in 2.a). Tuttavia, almeno dagli esempi sopra raccolti, non sembra essere così. Si noti, innanzitutto, che dell’accezione 1 vi è una sola attestazione d’autore (nota fin da Crusca5, dunque anche a DEI: cf. attestaz. 1950 in 1.a): l’agg. utilizzato da Targioni Tozzetti deriverà verosimilmente direttamente dal greco (cf. Liddell-Scott Greek-English Lexicon s.v. ἀντίγραφος come agg.: “copied, in duplicate”). Si rilevi l’interessante contrapposizione, verosimilmente di origine francese (cf. in TLF apographe sost. “copie d’un ecrit original. Anton. autographe […] 1670 […] CHAPELAIN, Lett. II, 679 ds DG : [Les Supplements de Tite-Live de Freinsheim] entiers et parfaits […] sans que rien leur manque ni de l’autographe ni de l’apographe”) tra autografo ‘originale’ e apografo ‘copiato’ nell’attestazione (cf. oltre) del 1753 di apografo agg. (dove agli aggettivi segue, tra l’altro, il part. pass. intitolato: “Di questo dottissimo religioso domenicano ci sono due insigni eruditissimi trattati manoscritti, autografo l’uno dell’Agricoltura pratica, apografo l’altro, intitolato Istoria delle piante”: GDLI; cf. Crusca5), nonché in quella 1863 in Crusca5 (qui sopra; cf. inoltre ancora av. 1915 l’attestazione di R. Serra, II-423, in GDLI s.v. genuino, n. 2: “Non sempre l’analisi comparativa ha aggiunto, per risalire dalle copie all’autografo e per le varianti alla lezione genuina, risultati certi”). Nonostante ciò, rimane comunque qualche remora nell’ipotizzare che “antigrafo” possa essere un errore di stampa per “autografo” nel senso di ‘originale’ (scritte a mano, la “u” e la “n” sono quasi uguali, mentre la “i” potrebbe esser nata da una “o” scritta o letta male): il Targioni Tozzetti era Bibliotecario della Magliabechiana (cf. vol. I, ed. 1751, frontespizio e p. VII, nonché il nostro stesso passo di p. 182: “Nel fare il Catalogo de’ Codici MSS. della Bibliot. Pub. Magliabechiana, mi sono imbattuto in un passo […]. Egli e in un Codice [ecc.]”), dunque una colta onomaturgia del genere, relativa a testi manoscritti, e ben ipotizzabile; si aggiunga che forse il Targioni Tozzetti (ma si tratterà più verosimilmente dei tipografi) nella 2a ed. (1768; morì nel 1783) intervenne sulla punteggiatura (virgola dopo “antigrafo”), ma non sul testo. Quanto all’accez. 2.a, si noti che non risultano esservene esempi d’autore, ma solo di ambito lessicografico, a partire da DizEnc (vi si aggiunga anche, in latino, Springhetti s.v. apografo, “Opponitur [scil. apographon] autographo […] seu antigrapho (seu manuscripto quod ex alio manuscripto descriptum est)”, in cui però è in parte leggibile la contrapposizione apografo/antigrafo): non è da escludere quindi che in tutte le fonti successive (cf. 2.a) la notizia su antigrafo sost. ‘copia diretta di un altro manoscritto’ sia semplicemente tralatizia. Se DEI attestava antigrafo solo come agg., cosa può aver indotto DizEnc ad attestare un antigrafo sost.? Appare di certo fondata la notizia di un antigrafo sost. in quella data (1955: cf. appena sotto), ma non nel citato senso di ‘copia diretta di un altro manoscritto’ (tale definizione sarebbe in DizEnc solo un’estensione del significato dell’agg., dovuta ad un puro errore, del resto giustificabile con la novità del vocabolo), bensì in quello di ‘modello diretto di un altro manoscritto’. Tale significato è attestato con tutta probabilità già nel 1900 (non paiono confutabili i dati nell’Attestaz. 1900, accez. 2.b), appare in controluce nel 1955 e nel 1962 (cf. quanto appena detto per DizEnc e Springhetti s.v. apografo), e ancora con tutta certezza nel 1965. Sarà lecito chiedersi, però, perché se nell’italiano del XVIII secolo antigrafo agg. rispecchiava il valore del greco antico (cf. appena sopra Traina Propedeutica 306 n. 5), nel XX sec. antigrafo sost. sia passato a un valore opposto (sulle ragioni di un passaggio del genere si veda l’ipotesi in Beccaria, attestaz. 1994 in 2.a). In verità il passaggio non si direbbe avvenuto in età moderna, ma già in quella antica: Rizzo 194 mostra come ἀντίγραφος oltre a ‘manoscritto’ copiato (Liddell-Scott, cit. sopra) poteva indicare anche un ‘esemplare di trascrizione’ (“soscrizione di Ireneo al περὶ ὀγδοάδος in Wattenbach 321”); e sempre secondo Rizzo (cf. del resto Thesaurus l. Lat. s.v. antigraphon) in latino ha il valore di ‘esemplare di collazione’ in una soscrizione del 402 d.C., mentre nel latino umanistico indica l’‘esemplare di trascrizione’ (e in Valla troviamo la contrapposizione antigraphon-apographon nel senso di ‘modello’-‘copia’, anche se in un paragone storico-letterario). I filologi che negli anni intorno al 1900 hanno coniato antigrafo sost. avranno verosimilmente avuto in mente non i precedenti letterari italiani (a quelli ha guardato invece la tradizione lessicografica, a partire da DizEnc) o direttamente il greco, ma i precedenti filologici latini (autori umanistici, in cui si ha il valore di ‘esemplare di trascrizione’, come ci informa Rizzo ibid.; o forse l’ambito lessicografico, qualora si abbiano precedenti per la voce antigraphon, -i ‘esemplare di collazione’ del Thesaurus l. Lat., che e dei primi del Novecento). Quanto all’etimologia di antigrafo si dovrà dunque verosimilmente pensare a due strade distinte per l’agg. e il sost.: nel primo caso un isolato (a quanto pare) cultismo che riesuma e traduce un vocabolo greco non eccessivamente tecnico e specifico; nel secondo un cultismo che riesuma e traduce (forse anche riadattando leggermente il senso, nell’eventualità del latino antico) un tecnicismo latino.

Osserv. aggiunt.: GDIU, senza distinguere tra le accezioni riportate, data av. 1783 e riporta come etimo il latino tardo antı˘gra˘fu(m). GDLI cita, sulla scia di Crusca5, Targioni Tozzetti dalla sola ed. contemplata, la 2a del 1768-1779 (“Targioni Tozzetti, 12-1-288: […] un codice adespoto, antigrafo, intitolato […]”; Crusca5 ha pero commesso un errore di trascrizione, dato che di fatto anche nel testo della 2a ed. tra “adespoto” e “antigrafo” manca la virgola, e la parola “Codice” ha l’iniziale maiuscola).

aplologia

sost. f.

> aplografia

(GDIU; accezione mancante in GDLI e nei restanti lessici di cui sotto in Etimol. e st.)

Trattaz.: –

Attestaz.: 1920 Pasquali Scritti 661: la lezione giusta, guasta per aplologia in tutti gli altri manoscritti, Hunc cuinam? cuinam? è conservata nel codice laurenziano 1999 (GDIU)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Accezione non originaria, e rara (e omessa da Beccaria, che dedica all’aplografia un buon articolo), del termine linguistico indicante la ‘caduta di una sillaba in una parola che dovrebbe avere, per la sua etimologia, due sillabe consecutive o uguali’ (GDIU; cf. DEI, DizEnc, VLI, GDLI). Si tratta di un’estensione semantica comprensibile, se si considera l’affinità di significato tra le due parole (richiamata, p. es., in DEI, Springhetti e Lazaro Carreter s.v. haplografia; in Rey Dictionnaire i termini haplographie e haplologie sono lemmatizzati insieme, con la definizione “terme [sic, al sing.] de phonetique, concernent le fait de n’ecrire et de ne prononcer qu’une fois un element redouble”). DEI data il termine linguistico al XIX sec., e lo considera una voce dotta composta da ‘aplo-’ + ‘-logia’ (dall’inglese haplology, invece, secondo GDIU, che lo data 1955: senza dubbio DizEnc).

Osserv. aggiunt.: Per evitare confusioni terminologiche (critica testuale e linguistica), l’uso di aplologia come sinonimo di aplografia appare oggi senz’altro sconsigliabile.

appendix critica

loc. sost. f. (pl., non rinvenuto ma atteso, appendices criticae)

apparato critico posto in fondo al volume

(manca in GDIU e GDLI)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1888 In “Rivista di filologia e di istruzione classica” 1888, p. 235 (GoogleRL, con foto ma senza indicazione del vol. della rivista): [il pregio] di questa edizione sta negli emendamenti numerosissimi che l’A. o accetta proposti da altri, o propone egli medesimo dandone le ragioni in un’Appendix critica alla fine del volume 1902-1904 In “Bollettino di Filologia” 9-10, 1902-1904, p. 52 (GoogleRL, senza foto): Copiano dall’Appendix critica di una edizione accreditata due o tre righi di varianti, li pongono sotto il testo, e l’edizione diventa «critica» 1948 In “Maia” 1948, p. 170 (GoogleRL, senza foto): Dovunque si registra la variante seu parvam rispetto al sive brevem del testo definitivo (e cf. l’Appendix critica del Gandiglio) 2003 A.M. Andrisano, Un dialogo aristofaneo …, in “Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica” 19, 2003, p. 44 e n. 22: la costituzione del testo […] condivisa da Marzullo, Aristofane. Le commedie cit. (n. 6) ad loc. A questo proposito cf. anche l’Appendix critica dell’ultima ed. (20034), p. 1138, che ho potuto consultare solo a lavoro finito

Fraseol.: –

Etimol. e st.: In base ai cataloghi telematici di biblioteche di cui in Bibliografia, nel latino filologico il nesso appendix critica sembra comparire soprattutto in Italia (in Germania nell’Ottocento l’appendix critica usava, ma non sembra aver avuto questo nome) e in edizioni critiche edite a Torino (cf. gli almeno 4 casi rinvenibili in URBS, sempre del 1916). Si noti tuttavia che il nesso latino (1a  attestaz. 1916) sembra comparire dopo quello in italiano (1906). E si noti pure anche per il nesso latino (cf. Etimol. e st. s.v. appendice critica) la centralità della città di Torino (testa di ponte della filologia tedesca in Italia a cavallo tra Otto e Novecento, Torino fu molto produttiva nel campo delle edizioni critiche latine, soprattutto per opera della casa editrice Paravia). Dunque si deve supporre che il nesso derivi o dall’italiano appendice critica, oppure in latino da appendix nel suo normale valore di ‘aggiunta’, con la specificazione critica nel senso di ‘critico-testuale’.

Osserv. aggiunt.: –

archetipo

sost. m.

  1. testimone, conservato o meno, dal quale derivano tutti gli altri (se conservato) o tutti (se non conservato) i testimoni, ovvero solo un gruppo di testimoni (in tale accezione, ormai desueta, è sostanzialmente sinonimo di capostipite) 2. testimone, non conservato ma ricostruito, dal quale derivano tutti i testimoni noti

(la definiz. 2 è tratta da GDIU, in cui tuttavia si legge “manoscritto” e non “testimone”, e “codici” e non “testimoni”, e a cui si è aggiunta la annotazione sulla ricostruzione, presente in GDLI: “manoscritto, non conservato, ma ricostruibile attraverso la collazione”; in GDIU e GDLI si trova solo la definizione 2; la definiz. 1 è modellata sulla 2 e basata sui dati presenti nelle Attestazz.)

Trattaz.: Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter (poco chiaro e con qualche errore di contenuto), Malato –

Attestaz.: 1. av. 1535 Berni 350 (GDLI): Quanto al farli riscrivere [certi quinterni scambiati] dall’archetipo, in caso che non si trovassino, non bisogna pensare; perché siamo risoluti che tale libro non solo non vi è, ma non vi fu mai 1768-1779 Targioni Tozzetti, 12-9- 231: Quando anche nell’archetipo di esso itinerario, se esistesse, si trovasse scritto Via Claudia, bisognerebbe [ecc.] 1911 Inama Filologia 84: vedere cioè se fra quelli [scil. codici] a noi conservati ve ne abbia uno che abbia servito di fonte agli altri, o a tutti, o a una parte, giacché in tal caso il codice che servì di fonte, o archetipo, come suol dirsi, è il solo che abbia vero valore, e le copie tratte da esso non ne hanno quasi punto. Ma ben di rado avviene che esista l’archetipo dal quale siano stati ricavati direttamente o indirettamente tutti i manoscritti che noi abbiamo. Il più delle volte questi derivano da uno o anche più archetipi che sono andati perduti. Allora un lavoro paziente, minuzioso, accurato del critico deve tendere a distribuire i diversi codici in famiglie, più o meno autorevoli, secondo che derivino piuttosto da uno che da un altro archetipo capostipite 1934 Pasquali Storia XVI, XVIII, 33 (nel senso di ‘testimone conservato’): [XVI] Ancora il Cinquecento e il Seicento francesi e fiamminghi hanno sciupato, perduto, distrutto codici preziosissimi. Chi consideri questo, dovrà ritenere meno frequente che non si creda il caso di manoscritti che risalgano tutti a un archetipo conservato, ed esigerà prove più sicure che non si usi, per l’eliminatio codicum descriptorum [… XVIII] Le varianti, anche erronee, possono essere molto più antiche dei manoscritti che le presentano, anche se questi si possono dimostrare derivati tutti da un archetipo conservato persino medievale [… 33] parole divorate da uno strappo nell’archetipo conservato delle Metamorfosi di Apuleio sono state, nelle copie, parte lasciate in bianco e parte supplite congetturalmente 1965 P.G. Parroni, Vibii Sequestris De fluminibus fontibus lacubus etc., Milano-Varese 1965, pp. 14, 17[- 18]: il Vat. lat. 4929 (V), il più antico manoscritto di Vibio giunto fino a noi e archetipo di tutta la tradizione [… 17] Da quando è tornato alla luce l’antico esemplare, l’interesse per questi codici [scil. recenziori] è notevolmente diminuito, se non altro da parte degli editori di Vibio, per i quali il Vaticano è l’archetipo di tutta la tradizione. Tali codici tuttavia […] meritano pur sempre considerazione […] | […] Mi è parso perciò doveroso offrire qui un primo sommario elenco di questi codices descripti (dei quali tuttavia non tengo conto in apparato) 1971 Mariotti Scritti 488: perché dolersi di avere un solo testimone quando la prima aspirazione della critica moderna è di risalire il più possibile dalla pluralità all’unità, di arrivare, attraverso ricostruzioni spesso faticose e incerte, a lavorare con il solo archetipo, che – quando sia esistito e sia ricostruibile con sicurezza o magari venga identificato fra i codici conservati – diventa anch’esso per l’editore un codex unicus? E non potrebbe certe volte il codex unicus conservatoci di un testo essere l’archetipo dello “stemma reale” di quel testo? 1972 Avalle Principi 88 (riportato in Malato): ci si serve del termine archetipo per indicare qualsiasi codice, ricostruito o esistente, cui faccia capo tutta la tradizione manoscritta di un’opera 2002 Chiesa Elementi 99-100: il testimone unico è l’archetipo dell’opera […] Quando è conservato un testimone unico […] esso è assimilabile a un archetipo conser|vato la cui discendenza è uguale a zero. Se l’archetipo è conservato, l’operazione successiva, quella di valutarne l’affidabilità, è più semplice rispetto ai casi in cui esso non sia conservato […]. Un archetipo conservato ha inoltre l’enorme vantaggio di non essere ricostruito in via ipotetica […] il codice, più che un archetipo conservato, dovrà essere considerato un originale 2. 1929 EI s.v. archetipo (con varie altre attestazioni oltre al brano cit.): Il caso più semplice è che, nella costruzione dello stemma o dell’albero genealogico, il critico riesca a ricondurre i diversi rami della tradizione a un testo, a noi non conservato ma ricostruibile, dal quale ha origine tale ramificazione. Questo testo, che chiamiamo archetipo, è più vicino all’originale che non il testo di qualsivoglia testimonianza 1933 EI s.v. Lachmann, Karl: dell’albero genealogico si giovava per ricostruire il più meccanicamente possibile l’archetipo 1934 Pasquali Storia 3, 15 (nel senso di ‘testimone ricostruito’): [3] Perfino di un termine, in questo senso, nuovo, necessario e felice, archetipo, egli non fa pompa: ne usa prima come di sfuggita; subito dopo in una parentesi confessa, con modestia apparente, ch’è sua abitudine dir così: id exemplar ceterorum archetypon (ita appellare soleo)…. Qui il Lachmann è ormai fuori dalla mischia: egli sente di parlare specialmente per i posteri. [… 15] Il Lachmann fondava il suo metodo sul presupposto che la tradizione di ogni autore risalisse sempre e in ogni caso a un unico esemplare già sfigurato di errori e lacune, quello ch’egli chiamava archetipo 1952 Maas Critica 3, 4: [3] Se dopo l’eliminazione dei codices eliminandi rimangono ancora diversi testimoni, in tal caso ci troviamo davanti a una ramificazione della tradizione. […] L’esemplare col quale cominciò la prima ramificazione lo chiameremo archetipo. Il testo di questo archetipo è immune da tutti gli errori nati dopo la ramificazione; perciò si avvicina all’originale più del testo di tutti gli altri testimoni. Se si riesce pertanto a stabilire con sicurezza questo testo, la costituzione del testo è con ciò notevolmente promossa. […] Il particolare valore da attribuire all’esemplare che abbiamo indicato come archetipo, è incontestato, e non abbiamo a disposizione un’altra parola per questo. Non si dovrebbe perciò indicare come archetipo alcun altro anello della tradizione che stia tra l’originale e le copie conservate, per quanto importante in determinate circostanze possa essere. [… 4] la ricostruzione dell’archetipo […] il testo dell’archetipo si può sicuramente ricostruire […] il testo dell’archetipo si può restituire 1955 DizEnc s.v. archetipo: Nella critica testuale, si chiama a.[rchetipo] il manoscritto, non noto ma ricostruibile con maggiore o minor sicurezza attraverso la recensione (v.) dei manoscritti noti, come quello da cui essi tutti deriverebbero secondo i rapporti di dipendenza raffigurati nello stemma, o albero genealogico […] Spesso è necessario postulare l’esistenza di due o più archetipi 1961 GDLI s.v. archetipo: Filol. Nella tradizione di un testo, il manoscritto, non conservato, ma ricostruibile attraverso la collazione dei codici noti, da cui derivano divergendo tutti gli altri manoscritti e che rappresenta il testo più vicino all’originale 1962(<) Pascucci Fondamenti 24: con x indichiamo il codice perduto, capostipite comune a tutta la tradizione diretta ed anteriore ad ogni successiva ramificazione di essa, cioè l’«archetipo» 1985a(<) Timpanaro Genesi 57, 138: [57] il Madvig fa risalire le sue tre famiglie di codici a un unico capostipite medievale perduto, già sfigurato da lacune e da errori meccanici20, e indica tale capostipite con l’espressione codex archetypus, la quale assume dunque, per la prima volta, il preciso e delimitato significato tecnico che ancor oggi le attribuiamo […] il Madvig si propone esplicitamente di utilizzare lo stemma per ricostruire le lezioni dell’archetipo [… 138] Con questa ipotesi dell’«archetipo mobile» siamo entrati nel campo delle tradizioni manoscritte che hanno un aspetto bipartito, pur essendo state in realtà tripartite o anche a più di tre rami 1985b E. Malato, in La critica del testo (Atti) 20, 21 e n. 44: [20] La soluzione di pubblicare per esteso le diverse redazioni dell’opera appare invece senza alcun dubbio obbligata nel caso, che potrebbe definirsi di “archetipo in movimento”, in cui ciascuna redazione attestata abbia una sua autonoma giustificazione storica [… 21 n. 44] In senso un po’ diverso parlano di «archetipo mobile» Bessi-Martelli nella loro Guida, cit., p. 38 1986 VLI s.v. archetipo: Nella critica testuale, il manoscritto non noto ma ricostruibile con maggiore o minor sicurezza attraverso il confronto dei manoscritti noti, come quello da cui essi tutti deriverebbero secondo i rapporti di dipendenza raffigurati nello stemma, o albero genealogico 1987(<) Reynolds – Wilson Copisti 223, 224: [223] una classica dimostrazione dell’ipotetico archetipo, ricostruendone la forma materiale [… 224] L’applicazione meccanica dello stemma per ricostruire le lezioni dell’archetipo […] w rappresenta l’archetipo 1989(<) Balduino Manuale 152: l’identificazione dell’archetipo, cioè del codice perduto […] al quale si possono far risalire tutti i testimoni a noi pervenuti 1992(<) Traina Propedeutica 326[-327], 328: [326(-327)] con alcuni fra i grandi filologi dell’Ottocento […] si fissa il concetto di archetipo come perduto manoscritto medioevale (o risalente alla fine del mondo | antico) [… 328] l’archetipo (w, il progenitore di tutta la tradizione in nostro possesso: generalmente un esemplare medioevale o della tardissima antichità; solo nelle letterature moderne l’archetipo può coincidere con l’originale) 1994 Mariotti Scritti 509[-510]: il momento molto delicato in cui, ricostruita, nei limiti del possibile, la lezione dell’archetipo (o eventualmente | preso atto della lezione di un testis unicus) 1995 Kenney Testo 137: Il termine ‘archetipo’ in senso tecnico stretto, sebbene le parole del Lachmann inducano il lettore a giudicare diversamente, fu usato per la prima volta da Madvig 2001 Malato: anche se l’uso non è univoco (cf. per es. Avalle, p. 88: «ci si serve del termine archetipo per indicare qualsiasi codice, ricostruito o esistente, cui faccia capo tutta la tradizione manoscritta di un’opera»), s’intende per a. la copia non conservata, distinta dall’originale […] Ove l’a.[rchetipo] fosse conservato, del resto, sarebbe da eliminare l’intera tradizione da esso derivata 2004(<) Beccaria: Risulta chiaro, perciò, che l’a[rchetipo] non esiste, ma è solo una ricostruzione critica; se di una tradizione possedessimo l’a[rchetipo], sarebbero inutili tutti gli altri manoscritti che ne derivano, perché descripti

Fraseol.: archetipo in movimento (1985, nell’accez. 2), archetipo mobile (1984 [= Bessi-Martelli Guida 38], in base all’attestaz. 1985 dell’accez. 2, ma verosimilmente 1963, anno della prima ed. di Timpanaro Genesi: cf. Attestaz. 1985(<)); archetipo conservato (1934)

Etimol. e st.: Nelle Attestazz. av. 1535 e 1768-1779 dell’accez. 1 non si può leggere il valore tecnico odierno (stemmatico), che invece GDLI gli attribuisce (s.v., n. 3): bisogna invece pensare a un uso generico di archetipo nel senso di ‘modello’ (attestato da GDLI s.v., n. 1 negli stessi anni, av. 1537, ma verosimilmente precedente), se non semplicemente di ‘originale’, conformemente all’uso umanistico di archetypum sost. o archetypus agg. (cf. Rizzo 308). Con “significato tecnico-filologico assai vicino a quello odierno” (Rizzo 308), nel latino degli umanisti archetypum indicava anche un ‘manoscritto dal quale tutti gli altri sono derivati’ (ad esempio in Merula, nel 1472: cf. Timpanaro Genesi 8, nonché l’ampia trattazione in Rizzo 308-17). Tale significato si applicava a prescindere dal fatto che il testimone fosse conservato oppure ricostruito. A tal proposito rileva Timpanaro Genesi 8-9: “Ciò che ancora manca, mi sembra, per arrivare all’uso «lachmanniano» di | archetypum (o di archetypus aggettivo) è la limitazione del termine ai soli capostipiti perduti e, d’altra parte, distinti dall’originale o dall’esemplare ufficiale. Il Poliziano stesso chiama più volte «archetipe» le Pandette pisane, poi fiorentine, cioè un codice tuttora esistente e che egli considerava come uno degli esemplari ufficiali diffusi da Giustiniano in varie città” (cf., sul “significato più specifico […] ottocentesco”, anche Trovato Un campo 287 e n. 1). Solo nel 1833, infatti, per l’espressione codex archetypus (Madvig, seguito nel 1846 da Purmann e nel 1850 da Lachmann; poi anche nelle forme ἀρχέτυπον, Orelli 1837; archetypus, Bernays 1847; archetypon, Lachmann 1850) compare “per la prima volta, il preciso e delimitato significato tecnico che ancor oggi le attribuiamo”, cioè di ‘capostipite (medievale) perduto’ (cf. su tutti questi ultimi dati Timpanaro Genesi 57 e n. 21, 65 e n. 8). Non è facile stabilire quando il nuovo valore, tecnico, del termine (= accez. 2) sia stato accolto in italiano. Ma lo status della parola ancora incerto nel 1911 (Inama: cf. Attestaz.) lascia pensare che la prima attestazione rinvenuta (1929) possa effettivamente essere tra le prime comparse. Ma anche in seguito archetipo poté facilmente essere interpretato ‘etimologicamente’ nel senso di ‘capostipite’ o simili (progenitore, fonte, modello, ecc.). Nelle Attestaz. 1965 e 1971 dell’accez. 1, ad esempio, si può rilevare come il termine non miri a esprimere un concetto tecnico, ma abbia il valore generico di capostipite o simili (si rilevi che lo stesso Mariotti nell’Attestaz. 1994, in un contesto in cui si adottano termini tecnici specifici, usa archetipo chiaramente come tecnicismo, nell’accez. 2). Le Attestaz. 1965 e 1971, tra l’altro, costituiscono un caso sui generis, in quanto fanno riferimento al particolare caso in cui la natura di capostipite di tutta la tradizione venga riconosciuta per un testimone dopo la costituzione di uno stemma codicum: quel testimone, in sostanza, viene a incarnare dopo la sua scoperta ciò che fino ad allora era stato ricostruito quale archetipo, donde quasi spontaneo l’uso di archetipo nella sua definizione (lo stesso processo concettuale sarà verosimilmente alla base dell’archetipo conservato di cui nell’Attestaz. 1934, accez. 1). Una qualche oscillazione terminologica doveva essere legata alla parola anche in tedesco se Maas (tradotto nel 1952; cf. Attestaz. sopra) avvisa contro l’uso indebito di archetipo (nell’accez. 1 lo troviamo ancora, dopo Lachmann, nella Encyclopadie [ca. 1862-1866] di A. Boekh edita nel 1886). E vi è incertezza ancora nello sp. arquetipo, per il quale Lazaro Carreter riporta i significati corrispondenti ai nostri significati 1 e 2. Che l’accez. 2 dell’italiano archetipo sia giunta direttamente dal latino dei filologi tedeschi, oppure per il tramite del tedesco non è certo, ma del tutto probabile appare la dipendenza del termine dalla filologia tedesca (DEI non lo dice esplicitamente, ma rileva che il senso filologico moderno fu “introdotto dal filologo ted.[esco] Carlo Lachmann”): cf. infatti i brani dell’Attestaz. pasqualiana del 1934, e il rinvio alla Textkritik di Maas nella bibliografia, contenente titoli in gran parte tedeschi, della voce archetipo in EI (= Attestaz. 1929), firmata dal germanista e filologo Vittorio Santoli (sulla quale però è più che probabile un’influenza di Pasquali, come lasciano intuire i testi, troppo specificamente classicistici, citati in bibliografia; si consideri inoltre che l’elenco delle parole filologiche da inserire nell’opera fu redatto, a metà anni Venti, proprio da Pasquali, che almeno nei primi volumi seguì da vicino l’edizione delle voci filologiche dell’Enciclopedia Italiana: cf. M. Cagnetta, Antichita classiche nell’Enciclopedia Italiana, Roma-Bari 1990, specie pp. 29 sgg.). Una questione che merita di essere affrontata è se sia giusto o meno parlare di archetipo “conservato”. Lo fanno Pasquali Storia e Chiesa Elementi (cf. Attestazz. 1934a e 2002, accez. 1), con una serie di attestazioni intermedie qui solo in parte riportate (cf. gli altri casi, circa 15, in GoogleRL). Personalmente, credo che in Pasquali l’uso di archetipo nel senso di capostipite di tutto il resto della tradizione nota (e non nel senso, da lui pure usato, di capostipite di tutta la tradizione nota) non abbia alla base una volontà teorica, ma sia una semplice variatio terminologica, non diversa da casi come tradizione orizzontale / trasmissione orizzontale / tradizione trasversale / trasmissione trasversale (vd. la v. orizzontale), o tradizione verticale / trasmissione verticale (vd. la v. verticale), ecc. (parlo di variatio, per non ipotizzare una imprecisione; su una possibile grossa svista pasqualiana, cf. la v. subarchetipo, Etimol. e st.). Ai tempi di Pasquali, del resto, in archetipo poteva ancora farsi sentire il semplice valore di ‘capostipite’. Sui filologi successivi, tuttavia, è lecito supporre che l’influsso sia provenuto non da tale possibile sinonimia, col passare del tempo sempre più flebile, ma dall’autorevolezza del testo pasqualiano. Tant’è che si tratta, almeno per le Attestazz. 1965 e 1971, di filologi di scuola pasqualiana. Tuttavia è un dato oggettivo che negli ultimi decenni tra i filologi il termine archetipo abbia assunto pressoché comunemente lo specifico senso tecnico di ‘testimone non conservato ma ricostruito’. Non si tratta di obliterare la storicità di un uso attestato. Ma, datane notizia e illustratene per quanto possibile le origini, si tratta di saggiarne l’utilità terminologica al giorno d’oggi, da un astratto punto di vista teorico- normativo. In base alla terminologia oggi in uso, parlare di un archetipo “conservato” appare improprio (basti citare, dalle Attestazz., i recenti Malato, “Ove l’a.[rchetipo] fosse conservato, del resto, sarebbe da eliminare l’intera tradizione da esso derivata”; o Beccaria, “Risulta chiaro, perciò, che l’a[rchetipo] non esiste, ma è solo una ricostruzione critica; se di una tradizione  possedessimo l’a[rchetipo], sarebbero inutili tutti gli altri manoscritti che ne derivano, perche descripti”). Chi parla di archetipo conservato parla di codex unicus, non d’altro (cf. sopra l’Attestaz. 2002, accez. 1; cf. del resto i dati nella stessa Attestaz. 1965, accez. 1). Ora, di fronte a un uso totalmente generalizzato e accolto di archetipo, la sovrapposizione dei concetti di codex unicus (testimone conservato, con recensio azzerata) e archetipo appare sconsigliabile. Rileva in merito Montanari Critica 39: “considerare «archetipo» sia l’archetipo maasiano, sia il codex unicus secondario, risponde solo alla comodità di impiegare un unico termine per il testimonio – perduto o sopravvissuto – che risulta al vertice dello stemma, ma per il resto comporta solo inconvenienti, in quanto le due specie di archetipo che inevitabilmente risulterebbero non hanno, operativamente, alcunché altro in comune”. Altro è, del resto, aver usato la parola archetipo in relazione al codex unicus in un ambito descrittivo, in cui nel termine archetipo può essere letto il valore linguistico di capostipite (cf. le Attestazz. 1965 e 1971, accez. 1). Altro è, invece, formulare a livello teorico l’identità dei concetti di archetipo e codex unicus (come nell’Attestaz. 2002, accez. 1). Tra l’altro nel definire i componenti della tradizione si è soliti ragionare “sub specie traditionis” (archetipo ‘testimone, non conservato ma ricostruito, dal quale derivano tutti i testimoni noti’, ecc.), e non “sub specie stemmatis”, come invece si dovrebbe fare per tenere in piedi un legame tra codex unicus e archetipo (“il testimonio – perduto o sopravvissuto – che risulta al vertice dello stemma”: Montanari, cit.). Ragionando sub specie traditionis l’archetipo e il codex unicus sono inconciliabili: archetipo è il ‘testimone da cui deriva tutta la tradizione’, mentre codex unicus è il ‘testimone da cui deriva tutto il resto della tradizione’. Per evitare fraintendimenti concettuali è bene che i tecnicismi siano più “univoci” possibile (cf. la considerazione di Malato in Attestaz. 2001, accez. 2). Nei casi di codex unicus, in cui da un testimone derivi tutto il resto della tradizione, invece che di archetipo conservato sarà dunque preferibile parlare semplicemente di capostipite (o simili: progenitore, fonte, ecc.) di tutta la restante tradizione (o simili).

Osserv. aggiunt.: –

attribuire

  1. tr.

ascrivere per congettura un’opera letteraria a un certo autore

(cf. GDLI, senza riferimenti alla filologia e riferendo il lemma, oltre che alla letteratura, anche alla sfera artistica (“(un’opera letteraria o artistica)”); cf. anche GDIU, che però presenta la sola etichetta “vocaboli fondamentali”)

Trattaz.: (manca in Springhetti, Lazaro Carreter, Malato e, almeno come lemma, Beccaria) – Cf. i dati s.v. attribuzione.

Attestaz.: 1664-1671 Redi 16-I-95 (GDLI s.v. attribuito): L’autore della Storia Filosofica attribuita falsamente a Galeno av. 1869 Cattaneo, I-1-93 (GDLI s.v. attribuire): V’è in castigliano un’altra poesia sul Campeador, e… alcuni lo attribuiscono a Pietro cantore della chiesa di Siviglia

Fraseol.: –

Etimol. e st.: La data dell’attestazione di Redi potrebbe essere precisata consultando l’originale. In GDLI s.v. attribuire il verbo è attestato prima per l’ambito artistico (av. 1764, in Algarotti, 3-298) che non in quello letterario (Cattaneo, cit. sopra), mentre in verità s.v. attribuito (part. pass. del verbo) abbiamo col Redi (cit. sopra) un’attestazione di ambito letterario anteriore a quella di ambito artistico (si tratta in GDLI di una svista: cf. anche DELI, che dà proprio Algarotti come prima attestazione di attribuire nell’accezione in esame). Non appare facile decidere se vi sia stata influenza dell’un campo sull’altro, oppure se si tratti di estensioni semantiche poligenetiche: in fondo attribuire ‘assegnare’ (av. 1292: DELI) è un verbo molto generico e usuale (GDIU lo annovera tra i “vocaboli fondamentali”: cf. sopra).

Osserv. aggiunt.: –

autopsia

sost. f.

analisi di un testimone compiuta direttamente sull’originale

(GDIU, che però invece che di “testimone” parla di “manoscritto”; manca in GDLI; VLI specifica “e non attraverso fotografie o microfilm”)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter) –

Attestaz.: 1904-1906 In “Bollettino di filologia” 11-12, 1904-1906, p. 151 (GoogleRL, senza foto): […] (ediz. teubneriana del 1880) e dell’opera di altri, anche di diligente autopsia per alcuni codici e, fra questi, pel codice L 1971 (titolo articolo) G. Susini, Autopsia di CIL XI, 6508, in “Epigraphica” XXXIII, 1971, pp. 179-182 (APhN, che ne offre questa sintesi: “cf. la sintesi: “Une inscription funéraire de Sarsina, perdue depuis sa publication au xviii s. et récemment redécouverte, a pu être réexaminée”) 1973 (titolo articolo) Da un’autopsia del cod. Laur. Gr. 57,12, in “RhM” 1973 (APhN) 1978 (titolo articolo) Autopsia delle iscrizioni latine di Arpinum, in “Epigraphica” 1978 (APhN) 1986 (VLI)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Estensione semantica di autopsia, verosimilmente non nell’accezione più diffusa, quella medica di ‘esame di un cadavere per ricercarne le cause della morte’ (1828, Marchi; attraverso il francese autopsie, 1573, dal greco autopsia ‘l’osservare coi propri occhi’: DELI), bensì in quella generica di ‘esperienza diretta, evidenza sensibile’ (1680, D. Bartoli: DELI), già presente in ambito filologico soprattutto negli studi storico-letterari: cf. ad esempio in APhN G. Nenci, Il motivo dell’autopsia nella storiografia greca, in “SCO” III, 1953, pp. 14-46).

Osserv. aggiunt.: –

banalizzare

  1. tr., v. intr.
  1. v. tr. detto di testo trascritto da un copista o stampato da un tipografo, renderlo più semplice sostituendo involontariamente parole più facili a parole più difficili da capire 2. v. intr. operare banalizzazioni

(accezz. mancanti in GDIU e GDLI)

Trattaz.: (manca in Springhetti, Lazaro Carreter, Beccaria, Malato) –

Attestaz.: 1. 1948 C. Gallavotti, La lingua dei poeti eolici: con appendice metrica, Bari-Napoli 1948, p. 108 (GoogleRL, con foto): ὤρχηντο (congetturato sulla lezione banalizzata ὠρχεῦντο) 1951 Pasquali Scritti 988: quando il tὺ era già banalizzato in sὺ 1961 In “Giornale italiano di filologia” 14-15, 1961, p. 157 (GoogleRL, con foto): verbi fatigatione […] sembra una lezione banalizzata 1999 il vocabolo Nonnita non è nome comune, ma nome proprio. Esso ha origine celtica e appartiene alla categoria degli appellativi banalizzati, come indicazione di persona non nota (sintesi in APhN 68-07206, edito nel 1999) 2006 G.C. Alessio, dispense sulla critica del testo, a.a. 2005-2006, accessibili in Google: La tendenza dei copisti a banalizzare il testo, in presenza di lezioni di maggiore difficoltà o rarità 2. 1963 Timpanaro Genesi 21 n. 1 (1a ed.): Nel Seicento, Richard Simon […] aveva anch’egli notato la tendenza dei copisti a banalizzare 1966 G. Petrocchi, La Commedia secondo l’antica vulgata, vol. I, Introduzione, Milano 1966, p. 169 (GoogleRL, con foto): questi copisti banalizzano, richiamandosi al più frequente uso di tosto che 20022003 L. La Lunga, Appunti di filologia e linguistica romanza, a.a. 2002- 2003, accessibili in Google: il copista ha banalizzato. […] i copisti banalizzano, questo spiega perché i codici hanno ognuno una versione differente

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Estensione semantica di banalizzare ‘rendere banale’ (1966 secondo DELI, con estremi; 1965 secondo GDIU), ma sul modello di trivializzare (almeno 1934 in G. Pasquali).

Osserv. aggiunt.: Per l’accez. 2 (verosimilmente posteriore alla 1) si confronti il sinonimo trivializzare ‘operare trivializzazioni’, presente già nel 1934 in Pasquali Storia.

collaterale

agg., sost. m.

detto di manoscritti che discendano, per via indipendente, dallo stesso capostipite

(accez. mancante in GDIU e GDLI)

Trattaz.: Beccaria s.v. codice2 (lemma mancante in Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1915(<) M. Barbi, Studi sul Canzoniere di Dante, con nuove indagini sulle raccolte manoscritte e a stampa di antiche rime italiane, Firenze 1915, p. 183 (GoogleRL, con foto): «un prossimo ed immediato collaterale o il suo ascendente diretto» come pensò il Massera? 2004(<) Beccaria s.v. codice2: due o più manoscritti che discendono, per via indipendente, dallo stesso capostipite, si dicono collaterali

Fraseol.: –

Etimol. e st.: L’Attestaz. 1915(<) è retrodatabile in quanto si tratta di una citazione da un precedente autore. Estensione semantica di collaterale ‘detto di rapporto genealogico che intercorre tra persone discendenti da un capostipite comune, ma non l’una dall’altra’ (av. 1348: DELI), che riprende la ricca serie di immagini genealogiche legate allo studio delle tradizioni manoscritte (cf. almeno le vv. albero genealogico, famiglia, parentela o capostipite).

Osserv. aggiunt.: DELI da collaterale come agg. (senza esempi), ma è dato anche come sost. in GDIU (“dei collaterali”, accanto a “congiunti collaterali”) e solo come sost. in GDLI (con esempi d’autore).

conflazione

sost. f.

specialmente in filologia biblica, fusione di due varianti (o anche due redazioni), e il risultato di tale fusione

(definiz. basata sui dati presenti nelle Attestazz. e in OED s.v. conflation; accez. mancante in GDLI s.v. conflazione, che riporta solo l’accez. generica, ormai desueta, ‘fusione mediante fuoco’; lemma mancante in GDIU)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1916 In “Didaskaleion” 5, 1916, p. 81 (GoogleRL, con foto): il fondo della Volgata con vestigia dell’antica versione, qualche volta sotto forma di conflazione (“conflate readings„) e di interpolazioni propriamente irlandesi 1956 P. Sacchi, Alle origini del Nuovo Testamento. Saggio per la storia della tradizione e la critica del testo, Firenze 1956, p. 73 (GoogleRL, con foto): Esclusi alcuni evidenti casi di conflazione per aver tenuto davanti più modelli, casi che sono certamente errori di K, nulla vieta che il suo metodo sia migliore di quello del recensore di B 2001-2002 In “Studi italiani di filologia classica” 19-20, 2001-2002, p. 136 (GoogleRL, con foto): Theog. 477-484. è un luogo che, come testimonianza della conflazione di due differenti redazioni, rappresenta un caso classico

Fraseol.: –

Etimol. e st.: È probabile che il termine ci sia giunto da studi biblici stranieri, verosimilmente inglesi (cf. Attestaz. 1916): in inglese infatti conflation nei significati di ‘fusione di due varianti’ e ‘variante risultante dalla fusione di due varianti’ sono attestati rispettivamente dal 1881 e dal 1890 (OED; cf. anche Greg Calculus 56). Inglese o altro che sia, alla base vi è il latino conflatio, ‘fusione (di un metallo)’ (cf. San Girolamo Ez. 7, 22).

Osserv. aggiunt.: In ambito esegetico o critico-letterario, conflazione e usato nel semplice significato di ‘fusione’ (cf. i dati in GoogleRL).

congettura (conghiettura†, coniectura†, coniettura†)

sost. f.

  1. nella critica testuale, ricostruzione della lezione originaria quando la tradizione non fornisce un testo accettabile 2. le parole che costituiscono il frutto di tale ricostruzione

(GDIU, per l’accez. 1, la sola riportata; GDLI per l’accez. 2, la sola riportata, con definizione simile; entrambe le accezz. in VLI)

Trattaz.: Beccaria s.v. congettura (lemma di rimando ad emendatio), Malato (manca come lemma in Springhetti, Lazaro Carreter) –

Attestaz.: 1. 1562-1573 Borghini Lettera 3, 46: [3] quel che io vi ho discorso sopra, che la vera strada dell’emendare i libri sia seguitare i testi antichi, e fuggire come il fuoco le coniecture et certi verisimili et capricci di molti moderni [… 46] Ma io conforterò bene ciascuno che si metterà a questa impresa ch’e’ s’impacci con le conietture et co’ verisimili il manco che può av. 1617 Baldi 521 (GDLI s.v. guasto1, n. 8): Dichiarò i luoghi oscuri, e quelli ch’erano guasti, per via di congetture, fondate su la dottrina dell’autore, ridusse al vero senso 1664 C. Dati 75 (GDLI s.v. critica): Ond’io m’indurrei più tosto a correggere, che a cancellare, benché io sia molto nemico dell’usanza moderna di emendare così arditamente per conghiettura… Ma lasciamo la critica e torniamo alla storia 1894 Valmaggi Manuale 147-148: la critica cioè così detta «verbale», il cui proprio oggetto è la restituzione de’ testi, la scelta delle lezioni migliori, e, in mancanza, l’emenda|zione per congettura 1920 Pasquali Filologia 82: il maestro della congettura metrica, Federigo Ritschl 1932 Pasquali EI 262: Se l’errore è diagnosticato chiaramente, è possibile che l’editore […] ritrovi per congettura il testo giusto 1934 Pasquali Storia 30 (e passim): un nome […] troppo raro perché il primo venuto potesse restituirlo per congettura 2. av. 1819 D. Akerblad, pubblicato in G. e R. Bresciano, Carteggio inedito di varii con G. Leopardi, Torino 1932, p. 469 (cit. in Timpanaro Leopardi 14-15 e n. 31): qualche conghiettura, non sempre molto felice, qua e là nelle note av. 1837 Leopardi III-79 (GDLI, che cita dalle Lettere, a c. di F. Flora, Milano 1955): I Tedeschi e gli altri stranieri, vedendo le matte congetture di quell’Editore, non abbiano a pigliarle per verità 1920 Pasquali Orazio 217, 624: [217] la congettura <s>φ’ἔροιτο è del Wilamowitz [… 624] la congettura [scil. “quam multa”] è giusta 1952 Caretti Filologia 13: sviste tipografiche (cattiva lettura o congettura diplomatica) 1953 Timpanaro Contributi 675: le congetture ludibundae, «umanistiche» in senso deteriore, fatte per esercizio e per ostentazione di virtuosismo là dove non ce ne sarebbe alcun bisogno […] congetture puramente virtuose 1964 (GDLI) 1986a S. Timpanaro in Pasquali EI 14: Pasquali, tuttavia, temeva la congettura «paleografica», che per non allontanarsi troppo dal testo tramandato risulta stentata e incongrua 1986b (VLI)

Fraseol.: congettura ‘ricostruzione’ (1562-1573, nelle forme coniectura e coniettura), congettura ‘le parole frutto di ricostruzione’ (av. 1819); per congettura (1664, nella forma per conghiettura); congettura metrica (1920), congettura diplomatica (1952), congettura paleografica (1986), congettura virtuosa (1953)

Etimol. e st.: L’Attestaz. av. 1819 può essere senz’altro retrodatata (il 1819 è l’anno di morte dell’autore: cf. Timpanaro Leopardi 14) consultando il cit. testo di G. e R. Bresciano (la lettera di Akerblad contiene un giudizio critico su una giovanile edizione di Porfirio curata da Giacomo). Lo stesso vale per l’attestazione av. 1837. Il termine appare non tanto estensione semantica di congettura ‘opinione, ipotesi fondata su indizi, apparenze, deduzioni personali’ (av. 1294: DELI), ma cultismo dal tecnicismo latino moderno coniectura ‘id.’ (gia cinquecentesco: cf. Rizzo 287 n. 5). Sulla terminologia relativa alle congetture nel Leopardi offrono ampi materiali per un approfondimento Timpanaro Leopardi e Leopardi Scritti filologici (appare del tutto verosimile inoltre, sia consultando il testo delle lettere leopardiane di cui sopra nelle Attestazz., sia grazie alla consultazione di corpora in formato elettronico, una retrodatazione dell’attuale prima attestazione leopardiana, ovvero av. 1837, anno della morte del Leopardi).

Osserv. aggiunt.: Si rilevi nell’Attestaz. 1562-1573 il sostantivo verisimile† ‘opinione infondata’, su cui cf. G. Belloni in Borghini Lettera 3 n. 1 (dove si cita anche un altro brano borghiniano con il sostantivo, sempre accanto a coniettura): “verisimile, sostantivato, come term. filologico in accezione negativa, e tutto borghiniano (‘opinione infondata’)”.

corruttela

sost. f.

lezione erronea in un manoscritto o in un testo a stampa

(GDIU, che per errore omette dopo “lezione” un aggettivo quale l’ “erronea” qui introdotto, e che riporta anche l’etichetta “paleografia”; accezione mancante in GDLI s.v. corruttela, anche al punto 5, che pure fornisce definizione ed esempi abbastanza vicini)

Trattaz.: Malato (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter) – Cf. i dati s.v. errore.

Attestaz.: 1934 Pasquali Storia 72, 113, 197: [72] Egli si accorda spesso «in lezioni originarie e in corruttele» […] con l’antica versione latina [… 113] corruttele non meccaniche [… 197] negli Acarnesi le cruces della nostra tradizione non si devono tutte a corruttele bizantine 1992 Traina Propedeutica 332: La rinuncia alla congettura è segnalata nel testo critico da due segni di croce che delimitano la corruttela 2003 (GDIU)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Verosimilmente estensione semantica di corruttela ‘alterazione’ (detto di forma linguistica, già av. 1552 nella forma corruptela: GDLI s.v. corruttela n. 5). Il latino corruptela non pare attestato nell’accezione filologica né in latino antico (cf. Thesaurus l. L.) né in quello umanistico (cf. l’indice lessicale in Rizzo), ma è presente in quello moderno (cf. con GoogleRL, integrato per i dati bibliografici con StaBiKat, F. P. Kaulen, Geschichte Der Vulgata, Mainz 1868, p. 435: “elimatus neque ab omni corruptela sit vindicatus ille textus, tamen locis plurimis emendatioribus scriptis consentiens genuinam exhibet Scripturae lectionem”), sicché si potrebbe ipotizzare di lì un cultismo in italiano.

Osserv. aggiunt.: Più in generale in Mari Armario 151 e 154 troviamo, rispettivamente, “la corruzione del testo tradito” e “fenomeno di corruzione testuale”: il sostantivo corruzione però non sembra aver assunto in ambito filologico lo status di tecnicismo (appaiono al limite casi come Beccaria s.v. crux desperationis “solo il significato diventa la guida per individuare una corruzione”).

d’autore (di autore†)

loc. agg. (pl. inv.)

  1. attribuibile all’autore e non alla trasmissione del testo 2. relativo a varianti, redazioni o revisioni d’autore

(accezione mancante in GDIU, che riporta con l’etichetta “vocaboli comuni” la definizione “eseguito o realizzato da un artista noto e di riconosciuto valore”, e in GDLI s.v. autore n. 2, che riporta con una definizione analoga un solo esempio, rispondente alla definizione)

Trattaz.: (lemma mancante in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato, i quali però lo riportano come secondo elemento di alcune delle locuzioni riportate sotto nella Fraseologia: cf. le singole voci) –

Attestaz.: 1. 1934 Pasquali Storia 47 (e passim), 419: [47] È stato supposto di recente3 [3 Mewaldt, Herm.[es], 46, 1911, 70 sgg.] che le varianti del proemio siano «varianti di autore» [… 419] le «varianti d’autore» sono l’ultima ratio della critica testuale, e non è lecito ricorrere a esse, finché le divergenze si possano spiegare in qualsiasi altro modo 1985a A. Castellani, in La critica del testo (Atti) 249: le varianti delle tre edizioni d’autore 1985b La critica del testo (Atti) 642, 647, 648: [642 = Indice tematico-analitico, s.v. autore] revisione d’autore […] correzione d’autore […] libro d’autore [… 647 = Indice tematico-analitico, s.v. redazione] tradizione d’autore […] r.[edazione] d’autore [… 648 = Indice tematico-analitico, s.v. tradizione] tradizione d’autore […] revisioni d’autore 1988 Timpanaro Nuovi Contributi 284 (spaziato già nell’originale): credo che […] minore ostilità pregiudiziale si debba avere nei riguardi degli errori d’autore, o meglio dei lapsus d’autore 2. 2004(<) Beccaria s.v. filologia d’autore

Fraseol.: variante di autore e variante d’autore (entrambi 1934; più dati da anni successivi alla voce variante d’autore), edizione d’autore (1985), revisione d’autore (1985), correzione d’autore (1985), libro d’autore (1985), tradizione d’autore (1985; più dati alla voce tradizione d’autore), redazione d’autore (1985), errore d’autore (1988; più dati alla voce errore d’autore); filologia d’autore (2004, ma forse già 1994, anno della prima ed. di Beccaria)

Etimol. e st.: Da autore ‘chi ha creato un’opera letteraria o d’arte’ (av. 1292: DELI). L’accez. 2, attestata solo nel nesso filologia d’autore, deriva da una ‘contrazione’ delle locuzioni variante/redazione/revisione d’autore, che in unione col sostantivo filologia (vd. la voce) avrebbero dato dei nessi troppo lunghi (e meno generici, se riferiti singolarmente a varianti, redazioni o revisioni).

Osserv. aggiunt.: –

dare

  1. tr.

> avere

(definiz. basata sui dati presenti nelle Attestazz.; accez. mancante in GDIU e GDLI)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1823 A. Peyron, in Grammatica compita della lingua greca di Augusto Matthiae […] volgarizzata con aggiunte da Amedeo Peyron, vol. I, Torino 1823, p. 145 (GoogleRL, con foto): Sovente dove leggesi la desinenza in εῖς, i manoscritti danno quella in έας 1825 In Saggio di rime di diversi buoni autori che fiorirono dal XIV. fino al XVIII. secolo, Firenze 1825, p. 280[-281] (GoogleRL, con foto): Noi renderemo conto della lezione. In luogo di in segno protetta dai Codd. l’ediz. ha v. 7 insegna: in vece di langue dell’ ediz. v. medes. i Codici danno tangue che noi con ragionevole arbitrio abbiamo variato in | sangue 1888 A. Fiammazzo, I codici friulani della Divina Commedia: il codice del Seminario, Udine 1888, p. 72 (GoogleRL, con trascrizione ma senza foto): dove il codice dà (v. 14): «sic […] 1920 Pasquali Filologia [52-]53: θέλεν con un ω sopra al secondo ε dà qui il ms. 1955 G.B. Picotti, Ricerche umanistiche, Firenze 1955, p. 186 (GoogleRL, con trascrizione ma senza foto): il codice dà: Id enim 1990 N. Flocchini, in Gaio Sallustio Crispo, La guerra giugurtina, Milano 1990, p. 61 (GoogleRL, con foto): Cn. Manlio: i codici danno in genere M. Manlio, ma sappiamo con certezza che si tratta di Gneo Manlio Massimo

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Sembrerebbe la specializzazione semantica di dare nell’accezione di ‘mostrare, rivelare un dato fatto (la consultazione di un documento, di scritture, un calcolo statistico, ecc.)’ (XVIII secolo: GDLI s.v. dare, n. 30, 2a accez., con un solo altro esempio, del 1881).

Osserv. aggiunt.: Da segnalare l’uso di dire col medesimo significato di dare (cf. l’Attestaz. av. 1675 s.v. dubbio: “Dubbia è la lezione di questo verso, dicendo il manoscritto pisano ‘di laurate fronde’ ”; nonché Leopardi Scritti 24 righe 410 e 411, del 1817).

edizione interlineare

loc. sost. f.

edizione dotata di apparato interlineare

(definizione basata sui dati in Beccaria s.v. edizione interlineare; manca in GDIU e GDLI s.vv. edizione ed interlineare)

Trattaz.: Beccaria (locuzione mancante in Springhetti s.v. edizione, Lazaro Carreter s.v. edicion, Malato s.v. edizione) – Cf. anche Chiesa Elementi 167.

Attestaz.: 1971 L. Caretti, in A. Manzoni, I Promessi sposi, Torino 1971, p. XLV (GoogleRL, con foto): Per i Promessi Sposi, si propone un’edizione interlineare che consenta un confronto immediato tra il romanzo quale apparve nella stampa del 1827 (“ventisettana”) e come vide poi la luce in quella definitiva del 1840 (“quarantana”), così come fece tanto utilmente Riccardo Folli quasi cent’anni or sono 2004(<) Beccaria: Potremmo definire l’e[dizione] i[nterlineare] una specie di “apparato particolare”, i cui criteri sono indicati nella nota al testo

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Onomaturgo della locuzione sembra essere il Caretti (cf. Attestaz. 1971). Da edizione (vd. la voce) e l’agg. interlineare ‘che sta tra riga e riga di uno scritto’ (1363: DELI).

Osserv. aggiunt.: Cf. anche la voce apparato interlineare.

esaplare

agg.

  1. relativo all’Esapla, opera quasi completamente perduta di Origene, che raffrontava in sei colonne il testo ebraico dell’Antico Testamento in alfabeto ebraico e traslitterato in alfabeto greco con quattro versioni greche 2. per estensione, relativo al confronto tra varie traduzioni di un testo

(GDIU, che riporta anche l’etichetta “termine biblico”; manca in GDLI)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1. 1817 G.B. De Rossi, Introduzione alla Sacra Scrittura. Che comprende le prenozioni più importanti relative ai testi originali e alle loro versioni, Parma 1817, p. [63-]64 (GoogleRL, con foto): Origene […] notò minutamente con asterischi ed obeli quel che s’aveva da aggiugnere, o da mutare, o da togliere nel loro testo. Ma essendo quest’opera [scil. i suoi Tetrapli ed Esapli] troppo voluminosa e dispendiosa, né addattata all’uso comune, Panfilo ed Eusebio s’accinsero a compendiarla, non dandone che il solo testo greco [p. 64] con que’ segni esaplari o note origeniane aggiunte in margine 1956 (DizEnc) 1965 (titolo libro) G. Mercati, Osservazioni: commento critico al testo dei frammenti esaplari, Città del Vaticano 1965 (SBN) 1982 (titolo articolo) Studi in onore di Aristide Colonna, Perugia 1982, p. 221 (Aph): […] due trascrizioni esaplari greche […] 2003 (GDIU) 2. 1975 In Enciclopedia storica Zanichelli, Bologna 1975, p. 33 (GoogleRL, con foto): Esaplare, Metodo. Dal titolo di una raccolta di traduzioni della Bibbia, disposte su sei colonne, effettuata da Origene nel sec. IV; si dice di un metodo consistente nel confrontare le varie traduzioni di un testo 1999 (GDIU)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Nell’accez. 1 retrodatabile al 1817 (GDIU data 1956, senza estremi: si tratta senz’altro di DizEnc). Dal greco heksapla ‘sestuplici (traduzioni)’, neutro plurale di heksaploos ‘sestuplo’, con il suffisso aggettivale –are (GDIU).

Osserv. aggiunt.: Cf. le vv. metodo esaplare e segno esaplare.

interpolazione

sost. f.

  1. inserzione di elementi estranei in un testo, in forma di alterazioni o ampliamenti; introduzione nel corpo di un testo di note o glosse preesistenti 2. elemento interpolato

(GDIU; cf. GDLI)

Trattaz.: Beccaria s.vv. codice2 e lacuna (a cui interpolazione è lemma di rimando), Springhetti, Lazaro Carreter s.v. interpolacion, Malato – Cf. anche Pasquali EI 267-270 (voce Interpolazione), La critica del testo (Atti) nell’indice tematico-analitico s.vv. interpolazioni, ammodernamento, rimaneggiamento e rifacimento, e Chiesa Elementi 72-74 (paragr. “innovazioni volontarie (o interpolazioni)”).

Attestaz.: 1. av. 1750 Muratori 7-V-449 (GDLI): Avvertirò potersi sospettare di qualche finzione o interpolazione in una carta di Tadone arcivescovo di Milano dell’anno 866, pubblicata dal Puricelli av. 1827 Foscolo XI- 1-236 (GDLI): Le Novelle mutilate, adulterate d’interpolazioni innumerabili 1851 Amari 2-294 (GDLI): non v’ha il menomo sospetto di interpolazione del copista 1869 Tommaseo- Bellini: Interpolazione d’un passo, d’una parola. […] Interpolazione de’ copisti, fatta da’ [copisti] av. 1871 Manzoni 394 (GDLI s.v. glossa1, n. 1): Se qualche amanuense, copiando, come facevano così spesso, delle glosse insieme col testo, ce l’avesse trasmesso così: ‘reliqui vero’ antea ‘per hostes divisi’, …non credo che al critico più sottile sarebbe nato alcun sospetto d’interpolazione av. 1912 Pascoli II-1008 (GDLI s.v. interpolatore): ‘l’interpolatore’ saccente non fu così saputo da riscontrare due concetti identici. È invero una non dubbia interpolazione 1923-1925 Pasquali Scritti 503: P ha infatti molte sviste, ma di radissimo interpolazioni, e mai interpolazioni davvero maliziose e quindi pericolose 1933 (titolo articolo) G. Pasquali, Interpolazione, in Pasquali EI 267-270 1934 Pasquali Storia 11, 397 (e passim): [11] Al Wettstein rimane il merito di aver enunciato (p. 188) che tra due lezioni quella che è più simile a un altro passo, che può cioè derivare da interpolazione armonistica, è da rigettare [… 397] interpolazioni medievali, bizantine o carolingie, o del Rinascimento, sono più modeste o più inabili 1952 (titolo paragrafo) Maas Critica 19: Interpolazioni 1985 La critica del testo (Atti) (Indice tematicoanalitico s.v. interpolazioni): interpolazioni apocrife 1999 DELI s.v. interpolare: Il sign.[ificato] che interpolare e interpolazione hanno assunto nella moderna critica del testo 2. 1869 Tommaseo-Bellini: 2. La cosa interpolata. […] Passo ch’è un’interpolazione. – Non s’accorge delle interpolazioni. – Correzioni tarde e frodolente fatte dall’autore stesso dello scritto, sono interpolazioni av. 1907 Carducci III-12-332 (GDLI s.v. interpolazione; cf. GDLI s.v. espungere): Rendere agli immortali antichi di quel lume che avea da esso ricevuto, i luoghi oscuri dichiarando, emendando gli errati, espungendo le interpolazioni, i difetti adempiendo 1934 Pasquali Storia 129: nubilo – die non può essere se non interpolazione sfrontata av. 1956 Papini X-1-517 (GDLI): Le mie uniche voluttà [nella lettura di un testo classico] erano la scoperta di una variante persuasiva, di una genealogia di manoscritti, d’una sicura interpolazione

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Da interpolare (vd. la voce).

Osserv. aggiunt.: Cf., in riferimento alle glosse interpolate nel testo, l’Attestaz. 1869 s.v. interpolare. Tipologie particolari di interpolazione sono l’espurgazione, fondata su ragioni moralistiche (cf. Pasquali Storia 506 [= Indice dei nomi…] “Rielaborazioni scolastiche con la espurgazione di passi”; per il verbo espurgare, cf. Pasquali Storia 119 “Che la rielaborazione sia fatta per la scuola, è evidente da un altro genere di varianti: il testo, con maggiore conseguenza di quel che sia rielaborato ritmicamente, è espurgato, castrato. Espressioni sessuali, scatologiche, o in qualunque modo grossolane, sono eliminate sistematicamente” o 307 “Il libro primo si presenta qui in una forma abbreviata ed espurgata che ricorda quell’edizione, fatta in servigio della scuola bizantina, di alcuni dei cosiddetti Moralia di Plutarco”), e, in relazione a singoli brani o parole, la riduzione (cf. Chiesa Elementi 72), l’aggiunta (cf. ad esempio Pasquali Storia 273 n. 2 “Gli editori dal Blass in poi stampano nel testo in caratteri minori le aggiunte che hanno valore storico o che comunque danno un senso compiuto, relegano [nell’originale si legge rilegano, errore tipografico: cf. apparato, Osserv. aggiunt.] nell’apparato gli ampliamenti stilistici minori e minimi”), l’ampliamento (cf. sopra la definiz. dell’accez. 1, tolta da GDIU, e già Pasquali Storia 273 n. 2, cit. appena sopra) o amplificazione (cf. Chiesa Elementi 72), la rielaborazione (cf. Pasquali Storia 119 e 506, citt. appena sopra) ovvero rimaneggiamento o rifacimento (cf. La critica del testo (Atti) nell’indice tematico-analitico, p. 647, s.v. rimaneggiamento e rifacimento). Cf. anche interpolazione armonistica (cit. anche sopra Attestaz. 1934, p. 11) e conguagliamento alla v. lezione discrepante di passi paralleli, Osserv. aggiunt.

lacinia

sost. f.

  1. piccolo frammento di un codice o di un papiro 2. per estensione, parte minima dell’opera di un autore antico giunta sino a noi (basso uso secondo GDIU)

(GDIU; nell’accez. 1 si intenda “frammento contenente testo”; cf. GDLI)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1. 1973 GDLI (senza esempi): lacinia […] Filol. Piccolo frammento di papiro 2003 (GDIU) 2. 1973 GDLI (senza esempi): lacinia […] Filol. […] parte minima di opere antiche giunte fino a noi 2003 (GDIU)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Estensione semantica di lacinia ‘lembo, frangia, orlo di una veste’ (1698: DELI e GDLI), verosimilmente in riferimento alla forma dei frammenti papiracei, il più delle volte stretti e allungati (sull’uso figurato di lacinia anche in altri ambiti disciplinari, per indicare oggetti stretti e soprattutto allungati, cf. GDLI s.v. lacinia, nn. 2, 4 e 5; che il sostantivo si riferisse in origine ai papiri e poi per estensione anche ai codici sembrano indicare i dati nell’Attestaz. 1973, accez. 1).

Osserv. aggiunt.: –

lectio duplex / duplex lectio

locuz. sost. f. (pl. non rinvenuto, ma a rigore lectiones duplices) / locuz. sost. f. (pl. duplices lectiones)

  1. insieme di due lezioni tramandate per un testo, presenti in due testimoni diversi 2. insieme di due lezioni tramandate per un testo

(al plurale, le due lezioni stesse), presenti nel medesimo testimone (definiz. basata sui dati presenti nelle Attestazz.; locuzz. mancanti in GDIU e GDLI)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Malato, Springhetti, Lazaro Carreter) –

Attestaz.: 1. 1935 In Studi in memoria di Aldo Albertoni, vol. III, Padova 1935, p. 594 (GoogleRL, con foto): Qualche volta troviamo una duplex lectio che potrebbe essere derivata da una difficile interpretazione dei caratteri originali 1944 In “Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti” 19, 1944, p. 202 (GoogleRL, con foto e trascrizione parziali ma integrantisi a vicenda): E difatti, non sembra esclusa la possibilità che questo verso del sesto libro dell’Eneide presenti una lectio duplex, lasciata in doppia versione dal poeta al momento della sua morte 2008(<) In “Gnomon” (GoogleRL, senza dati sull’anno di pubblicazione e con foto poco leggibile in relazione ai caratteri greci): mentre β continua a recare la duplex lectio, che dà ἐπὶ πόα φέρην in Ρ, ἐπὶ πόα τραφερήν in δ 2. 2005 Mari Armario 125 n. 8: La Magnaldi [scil. G. M., Parola d’autore, parola di copista …, Alessandria 2004] osserva (p. 26) che, in presenza di duplices lectiones, se ricorre nel testo la sequenza correzione + errore, anziché quella inversa, è probabile che l’intervento di correzione sia stato in origine segnato nell’interlinea

Fraseol.: duplex lectio (1935), lectio duplex (1944)

Etimol. e st.: Dal latino moderno duplex lectio (e lectio duplex) ‘lezione duplice’ (presente, ad esempio, già nel 1805 in C. Plinii Caecilii Secundi Epistolarum libri decem et Panegyricus, Lipsiae 1805: cf. GoogleRL).

Osserv. aggiunt.: –

leggere

  1. tr.
  1. detto di scelta critica, adottare (come testo critico) 2. detto di testimone, >avere

(definiz. dell’accez. 2 basata sui dati in GDLI s.v. leggere, n. 10, definiz. ‘recare una determinata lezione (un testo, un codice, un’edizione)’, e GDIU, definiz. ‘di un manoscritto, di un’edizione a stampa, recare una determinata lezione’; accez. 1 mancante in GDLI e GDIU: definiz. basata sui dati presenti nelle Attestazz.)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1. 1817 Leopardi Scritti filologici 21 riga 319: mi pare […] che si debba leggere: ὀῤῥωδοῦσι [… 23 riga 379] io avrei voluto leggere διαιρομένων per διαιρουμένων [… 25 riga 414] è manifesto che va letto: ἅς ἄν [… 26 riga 446] quando non vada letto ἀναγαγώτατος 1920 Pasquali Orazio 515 n. 1: Kaibel […] vuol leggere ἐλύγγασε 1960 I. Mariotti, Studi luciliani, Firenze 1960, p. 27 (GoogleRL, con foto): che gli editori leggono invece mendaci […] 2000(<) S. Timpanaro, Contributi di filologia greca e latina, Firenze 2005, p. 340 (GoogleRL, con trascrizione ma senza foto): gli editori, tranne L. Herrmann, leggono prima […] 2. 1573 Annotazioni sopra il Decameron 69 (GDLI s.v. leggere, n. 10): Abbiam giudicato poter sicuramente in questo luogo seguitar l’ottimo libro, che così legge [ecc.] 1664 C. Dati 271 (GDLI s.v. leggere, n. 10): Così leggono la maggior parte degli stampati 1758 Manni I-99 (GDLI s.v. leggere, n. 10): Che più? tanto legge il Codice 341 in quarto della celebre Libreria Stroziana, in questo sol dagli altri mentovati differente, che laddove essi hanno ‘ ’n lei’, questo distesamente ritiene ‘in lei’ 1933 Pasquali Scritti 641: I codici conservati leggono […] ut Alfenus vafer omni 1934 Pasquali Storia 19 n. 1: non so come leggesse l’archetipo della Vulgata 1999 M. Martelli, Saggio sul Principe, Roma 1999, p. 14 (GoogleRL, con foto): tutti i codici leggono et

Fraseol.: –

Etimol. e st.: L’accez. 1 più che una specializzazione semantica dell’italiano leggere (verosimilmente nell’accezione di ‘interpretare un testo’, donde ‘adottarne’ la lezione, attestata av. 1571: DELI), sembra essere un calco del latino filologico lege˘re ‘adottare (come testo critico)’, latino almeno umanistico (cf. gli esempi in Rizzo 209, “ut vulgo legitur”, “ ‘Aorion’ isti legunt”; 210, “infra legit Christoforus Papallis «inter caenam Asini»”; 211, “legerem «iuvenculorum»”; 285, “quum tamen ‘uber’ non ‘ruber’ legendum sit”). Quanto invece all’accez. 2, la trafila semantica che vi sottostà non risulta del tutto chiara. Si può ipotizzare che derivi anch’essa dal latino, essendosi uno sviluppo dall’accez. 1 già prodotto nel latino umanistico: come un editore ‘adotta’, ovvero ‘presenta qualcosa come testo’ (in questo senso può essere letto, ad esempio, il brano umanistico in Rizzo 209, “Servius grammaticus Bucolicos versus tam mendose legit”: Servio ‘adotta’, ma anche ‘presenta come testo’ versi bucolici corrotti), così anche un testimone potrà ‘presentare qualcosa come testo’. A meno che in brani come “Servius […] legit” non si intendesse ‘il testo di Servio presenta come lezione”. La questione merita senz’altro ulteriori approfondimenti.

Osserv. aggiunt.: Si rilevi in Leopardi l’uso di mettere (scil. nel testo; l’uso appare ormai desueto) sostanzialmente come sinonimo di leggere, nell’accez. 1 (cf. Leopardi Scritti 24 riga 405, del 1817: “Io mettea πόλεμον per ποταμόν”; ibid. 34 riga 15, del 1817: “bisogna metter φοβείσθω”).

locus deperditus

loc. sost. m. (pl. atteso loci deperditi)

> locus desperatus

(definiz. basata sui dati presenti nelle Attestazz.; locuz. mancante in GDIU e GDLI s.v. locus)

Trattaz.: (locuzione mancante in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1959 M. Pastore Stocchi, Il De Canaria boccaccesco e un Locus deperditus nel De insulis di Domenico Sivestri, in “Rinascimento” 10, n. 2, dicembre 1959, pp. 144-156 (SBN) 1962(<) Pascucci Fondamenti 32: segni convenzionali: […] croce (†) ed asterisco (*) indicano rispettivamente locus deperditus e lacuna insanabile 1997 E. V. Liberatori Prati, in “MLN” 112, n. 1 (Italian Issue), 1997, pp. 119-124 (JSTOR): Dante e le Isole Fortunate: un locus deperditus nella geografia del poema 2007 (Google)

Fraseol.: –

Etimol. e st.: L’Attestaz. 1962(<) è forse retrodatabile al 1957, anno della prima ed. di Pascucci Fondamenti. Latino moderno, dal latino classico locus ‘luogo, passo (di un testo)’ (cf. almeno OLD s.v. n. 23) e deperditus ‘andato perduto’ (in quanto ritenuto insanabile). Forse proprio deperditus, semanticamente non del tutto trasparente, potrebbe aver favorito la nascita del sinonimo locus desperatus (vd. la voce), forma molto più chiara e oggi indiscussamente più usata.

Osserv. aggiunt.: –

monogenesi dell’errore

loc. sost. f.

fenomeno per cui appare decisamente improbabile che un errore si produca indipendentemente presso copisti diversi in differenti condizioni di luogo e di tempo

(definizione basata su quella della v. poligenesi; accez. mancante anche in GDIU s.v. poligenesi e GDLI s.v. poligenesi)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) – Cf. i dati s.v. poligenesi.

Attestaz.: 1971 Contini Breviario 137: fatte salve le eccezioni canoniche al criterio della monogenesi dell’errore

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Da monogenesi ed errore (vd. la voce). Monogenesi e modellato complementarmente su poligenesi (vd. la voce), sul preesistente monogenesi ‘origine unica’ (1891: DELI).

Osserv. aggiunt.: –

nota al testo

loc. sost. f.

nell’edizione critica di un testo, lo spazio in cui l’editore critico dà conto del lavoro compiuto

(definiz. basata sui dati in Malato; locuzione mancante in GDIU e GDLI s.vv. nota e testo)

Trattaz.: Malato (locuzione mancante in Beccaria, Springhetti s.v. nota, Lazaro Carreter s.v. nota) –

Attestaz.: 1963(?) (titolo libro) M. Legnani, Introduzione, nota bibliografica, nota al testo, glossario e indice dei nomi a I miei ricordi di Massimo d’Azeglio, Milano 1963 (SBN) 1979 Balduino Manuale 32: Tutto questo lavoro […] sarà peraltro documentato in un’apposita introduzione o Nota al testo 1982 (sottotitolo libro) Bonvesin da la Riva, De Cruce. Nota al testo, schede lessicali e facsimile, a c. di G. Contini e S. Isella Brusamolino, Verona 1982 (SBN) 2001 Malato

Fraseol.: –

Etimol. e st.: Per verificare la pertinenza dell’Attestaz. 1963(?) bisognerebbe consultare l’opera. Da nota ‘osservazione complementare per chiarire alcuni punti d’un testo; commento, glossa, postilla’ (av. 1698: DELI) e testo (vd. la voce), forse agevolato da precedenti usi del nesso in ambito filologico, sia pure in senso non tecnico, quali S. Debenedetti, Nota al testo dell’Orlando Furioso, Bari 1928 o C. Prato, Nota al testo di Achille Tazio, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari” 2, 1955 (altri esempi in SBN).

Osserv. aggiunt.: Nota al testo è locuzione usata quasi esclusivamente in ambito italianistico (non so dire se anche romanzo in generale); in filologia classica il termine usato è praefatio sost. f. (vd. la voce).

perìcope

sost. f.

segmento di testo dell’antigrafo che colui che copia legge e manda a memoria per la trascrizione sull’apografo

(definiz. basata sui dati presenti in Attestaz. 1992(<); diversa l’accezione presente in GDIU, “breve passo estratto da un testo”, e GDLI, “breve passo estratto da un testo; in particolare, brano della Sacra Scrittura letto durante la messa”: cf. Etimol. e st.)

Trattaz.: (manca in Beccaria, Springhetti, Lazaro Carreter, Malato) –

Attestaz.: 1979 Balduino Manuale 54 (1a ed.): chiunque copia un testo è anzitutto costretto a leggerne un breve frammento (pericope) 1992(<) Traina Propedeutica [305-]306, 307: [(305-)306] Di solito il copista medievale (su cui siamo meglio informati: ma non molto diverso sarà stato l’uso antico e sostanzialmente non diversa è la pratica dei copisti moderni, dattilografi e tipografi) leggeva e mandava a memoria dall’esemplare che aveva | per modello (antìgrafo) un tratto di scrittura (perìcope) piuttosto breve, che poi trascriveva sulla pagina del nuovo esemplare [… 307] debolezza di memoria, che poteva avere i suoi lapsus anche nel breve tempo intercorrente fra lettura e trascrizione della pericope, tanto più quanto maggiore fosse la lunghezza del segmento di scrittura […] letta e memorizzata la pericope, il copista se la viene dettando mentalmente nell’atto di trascriverla, ma l’autodettatura, per quanto mentale, segue le peculiarità […]

Fraseol.: –

Etimol. e st.: L’Attestaz. 1992(<) è forse retrodatabile agli anni delle precedenti edd. di Traina Propedeutica (19823, 19772 o 19721). In ambito non filologico la pericope è un “Breve passo estratto, quasi ritagliato, da un testo; il termine si usa soprattutto nella critica neotestamentaria a proposito dei passi dei Vangeli: la p.[ericope] giovannea sull’incredulita di s. Tommaso, il passo del Vangelo di Giovanni su taleargomento” (DizEnc s.v.). È voce dotta, attestata dal DEI nel 1829 senza estremi (potrebbe trattarsi di M. A. Marchi, Dizionario tecnicoetimologico- filologico, 2 voll., Milano 1828-29; GDIU l’attesta invece solo nel 1945), e deriva dal latino tardo (ecclesiastico) perico˘pe, dal greco περικοπή, derivato da περικόπτω ‘circoncido’, composto da περί ‘intorno’ e κόπτω ‘taglio’ (GDLI). Né in DizEnc (1958) né in GDLI (1986) compare l’etichetta “filologia”, presente invece in GDIU, con la scarna definizione di “breve passo estratto da un testo” (derivante evidentemente da GDLI). Sembrerebbe dunque che in GDIU alla primitiva accezione di pericope si sia intuitivamente accostata l’etichetta “filologia” in riferimento al nuovo tecnicismo filologico, senza però la necessaria differenziazione delle accezioni nella definizione. Tale mancata differenziazione sarebbe in parte giustificata dal fatto che pericope nel significato filologico, estensione semantica di quello primigenio, è di fatto un ‘breve passo estratto da un testo’ (anche se nello specifico, è solo quello letto e mandato a mente dal copista, e non un passo in generale).

Osserv. aggiunt.: Cf. anche la v. dettato interiore.

redazione

sost. f.

ciascuna delle stesure di una stessa opera letteraria, specialmente con varianti di forma e di contenuto che la caratterizzano

(GDIU s.v. redazione1; cf. GDLI s.v. redazione, n. 2)

Trattaz.: Springhetti, Malato (manca in Beccaria, Lazaro Carreter) –

Attestaz.: av. 1907 Carducci II-6-73 (GDLI s.v. redazione, n. 2): Bisogna pubblicare le varianti e le redazioni diverse sopra bene otto codici 1911 B. Croce II-2-342 (GDLI s.v. redazione, n. 2): Un’ampia introduzione… dà notizia delle successive redazioni e manipolazioni della ‘Scienza nuova’ 1934 Pasquali Storia 121 e n. 2: [121] La redazione interpolata ebbe voga prima di Carlo, sino a Carlo2) [… n. 2 ] 2) Che la redazione interpolata sia opera di uno scolaro diretto di Benedetto, Simplicio, è congettura non probabile del Traube 1947 Baldini 9-242 (GDLI s.v. redazione, n. 2): la prima e l’ultima redazione del componimento av. 1970 R. Longhi 286 (GDLI s.v. redazione, n. 2): A rileggere ora la prima redazione della ‘Vita’ di Masolino, le lodi alle sue parti negli affreschi del Carmine suonano di forzatura impacciata e generica 1985 La critica del testo (Atti) 647 (= Indice tematico-analitico, s.v. redazione): r.[edazioni] plurime di opere non pervenute all’ultima volontà dell’autore […] r.[edazione] d’autore […] varianti di redazione 2003 GDIU s.v. redazione1: le diverse redazioni dei “Promessi sposi”, confrontare varie redazioni

Fraseol.: redazione (av. 1907), redazione d’autore (1985; cf. anche la voce d’autore), variante di redazione (1985; vd. la voce)

Etimol. e st.: Estensione semantica di redazione ‘stesura’ (1797: DELI).

Osserv. aggiunt.: In Beccaria s.v. variante2 troviamo la locuzione rifacimento d’autore, che pur senza lo status di tecnicismo vale ‘nuova redazione’.

variante (1) / lezione variante† / variante lezione†

sost. f. / loc. sost. f. / loc. sost. f.

nella critica testuale, ciascuna delle diverse lezioni presenti nei manoscritti e nelle stampe che tramandano uno stesso testo

(GDIU s.v. variante; cf. GDLI s.v. variante)

Trattaz.: Beccaria s.v. variante2, Springhetti s.v. variante, Lazaro Carreter s.v. variante, Malato s.v. variante

Attestaz.: 1761 A. Mannelli, cit. in G. Gherardini, Voci e maniere di dire italiane additate a’ futuri vocabolaristi, Milano, 1838- 41 (DELI, in relazione a variante sost.) 1801 (sottotitolo volume) Di un antico testo a penna della Divina Comedia di Dante. Con alcune annotazioni su le varianti lezioni e sulle postille del medesimo, Roma 1801 (GoogleRL, con foto) 1809 (sottotitolo libro) S. G. A. Gavuzzi, L’Adramiteno dramma anfibio e le favole di Esofago da Cetego […] con note ed osservazioni a rischiarimento del testo e le varianti lezioni, Torino 1809 (SBN) av. 1828 Monti IV-228 (GDLI s.v. variante): cinque fogli e mezzo delle varianti che con molta pazienza vo estraendo io stesso dal Codice Giovio av. 1837 Leopardi III-611 (GDLI s.v. variante): le varianti relative ai passi descritti 1853 G.I. Ascoli, cit. in Archivio di parole. Quaderno primo, a cura di M. A. Cortelazzo e C. Vela, Lucca, 1997 (DELI, in relazione a lezione variante loc. sost.) XIX sec. A. Cesari (secondo DEI s.v. variare): lezione variante [sic?] av. 1926 Gobetti 1-I-623 (GDLI s.v. variante): Il suo nobile ideale era di incanutire tra le schede e le varianti: egli intendeva così l’insegnamento di D’Ancona 1934 Pasquali Storia 388, 397: [388] non varianti di autore, ma varianti antiche [… 397] Lo studio delle «edizioni antiche» avrà convinto che le varianti «antiche» sono nate nello stesso modo di quelle medievali av. 1956 Papini X-1-517 (GDLI s.v. interpolazione): Le mie uniche voluttà [nella lettura di un testo classico] erano la scoperta di una variante persuasiva, di una genealogia di manoscritti, d’una sicura interpolazione 1957 variante (DEI s.v. variare) 1961 variante (DizEnc) 1979 Balduino Manuale 233: un maestro della filologia shakesperiana, Walter Wilson Greg, che in un volumetto del 1927 proclamò ancora la necessità di rinunciare preventivamente all’idea di ‘errori comuni’ e di considerare invece le sole ‘varianti semantiche’ 1985 La critica del testo (Atti) 649 (= Indice tematicoanalitico): variante erronea 1994 variante (VLI) 2001 Malato: variante senza senso, perciò certamente erronea 2003 variante (GDIU)

Fraseol.: variante (1761), variante lezione (1801), lezione variante (1853; XIX sec. in A. Cesari secondo DEI s.v. variare); variante antica (1934); variante semantica (1979)

Etimol. e st.: Da variante participio presente di variare sostantivato, oppure ellissi di lezione variante o variante lezione (nessi attestati più tardi, come si vede dalle Attestaz., ma avente alle spalle il latino varia lectio o varians lectio: cf. i dati subito appresso e s.v. varia lectio)? Oppure, forse più verosimilmente, calco del latino moderno varians lectio (attestato ad esempio in Wettstein nel 1730, “Inter duas variantes lectiones”, come riporta Pasquali Storia 10; oppure in J.A. Bengel, Apparatus criticus ad Novum Testamentum, Tubingae 17633, terza pag. non numerata, ma verosimilmente precedente, visto il nesso lectionis varietas attestato ibid. p. 631, dove si ristampa uno scritto del 1725)?

Osserv. aggiunt.: Resta da chiarire il valore di variante nell’esempio riportato in DELI s.v. variante: “però, nel 1801 A. Fortis scriveva: ‘annunziando che il II canto sta per uscire, farò credere tratto dalla memoria quanto ne stamperò. Tu sarai sempre a tempo di rettificare le varianti che immedicabilmente ti dispiacessero’, in V. Monti, Epistolario, a cura di Bertoldi, II, p. 226”. Quanto a “variante erronea” e “variante senza senso” (cf. Attestazz. 1985 e 2001), non pare di poter dire che si tratti di usi tecnici (nell’Indice di Contini Breviario compaiono i nessi Lezione erronea e Variante erronea, i quali rinviano però entrambi a Errore). Nel caso di variante che affianchi la lezione del testo (anch’essa in tal caso una variante), si denomina a seconda della collocazione variante interlineare se situata nell’interlinea (cf. in GoogleRL già Bibliografia dantesca. Ossia catalogo delle edizioni, traduzioni, codici manoscritti e comenti della Divina Commedia e delle opere minori di Dante […]. Compilata dal sig. visconte Colomb De Batines. Traduzione italiana fatta sul manoscritto francese dell’autore, tomo II, Prato 1846, p. 7, “Trovansi in questo Codice alcune postille marginali, ed anco varianti marginali e interlineari assai numerose”), o variante marginale se situata a margine (cf. il brano del 1846 appena cit., “varianti marginali e interlineari assai numerose”; sulle varianti marginali cf. anche la v. editio variorum). Quanto a varianti semantiche (cf. Attestaz. 1979), ovvero quelle ‘che presentano divergenze di tipo semantico’, si presenta come un nesso descrittivo, e non tecnicizzato.

variante (2) / – d’autore (– di autore†) / – originale

sost. f. / loc. sost. f. / loc. sost. f.

variante introdotta dall’autore stesso nel testo in seguito a ripensamenti o rielaborazioni, durante la stesura del testo o in successive redazioni

(GDIU s.v. variante d’autore; cf. GDLI s.v. variante)

Trattaz.: Beccaria s.v. variante2, Malato s.v. variante (locuz. mancante in Springhetti s.v. variante, Lazaro Carreter s.v. variante3) – Cf. S. Mariotti, Varianti d’autore e varianti di trasmissione, in La critica del testo (Atti) 97-111.

Attestaz.: 1927 E. Cecchi 2-50 (GDLI s.v. variante n. 5): Si vorranno morder le mani, fra secoli, i cercatori di varianti, i cacciatori di scandali critici 1934 Pasquali Storia 47, 395, 397, 416, 419, 452 (e altrove, almeno nella forma apostrofata): [47] È stato supposto di recente3 [3 Mewaldt, Herm.[es], 46, 1911, 70 sgg.] che le varianti del proemio siano «varianti di autore» [… 395 (titolo di capitolo)] VII. edizioni originali e varianti di autore [… 397] Queste «varianti di autore» devono risalire o a diverse edizioni dell’opera, vigilate e corrette dall’autore stesso (e quindi tutte parimenti autentiche), o anche a sue esitazioni e oscillazioni nell’originale, negli originali [… 416] rimangono tracce di tali mutamenti, sono conservate varianti di autore nella nostra tradizione medievale? [… 419] le «varianti d’autore» sono l’ultima ratio della critica testuale, e non è lecito ricorrere a esse, finché le divergenze si possano spiegare in qualsiasi altro modo [… 452] Qui abbondano già le fonti di «varianti originali» 1947a G. Pasquali, in “Studi italiani di filologia classica” n.s. 12, 1947, p. 261 (cit. da S. Mariotti in La critica del testo (Atti) 99 e n. 6): Credo ora di sapere […] che varianti d’autore, frequenti in scritture medievali, rinascimentali, moderne, in opere dell’antichità sono molto più rare di quanto allora credessi 1947b (titolo articolo) S. Mariotti, Varianti d’autore nella tradizione diretta dell’Eneide?, in “Paideia” 2, 1947, p. 303 1947c B. Croce, Illusione sulla genesi delle opere d’arte documentabile dagli scartafacci degli scrittori, in “Quaderni della Critica” 3, 1947, pp. 93-94 (locuzione citata in La critica del testo (Atti) 4; dati sull’articolo in Balduino Manuale 403 e n. 62): varianti d’autore 1948 G. Contini, La critica degli scartafacci, in “La Rassegna d’Italia” 3, 1948, p. 1051: le varianti di Ungaretti 1953 (prolusione) Contini Breviario 89: Non sarei troppo corrivo ad ammettere varianti d’autore 1976 Montale 12-595 (GDLI s.v. variante n. 5): C’è un mio amico che sta preparando la riedizione dei miei libri e vuol mettere anche le varianti 1977 Contini Breviario 11-12, 22: [11-12] la ‘critica delle varianti’ conferma per via sperimentale […] le interpretazioni ottenute o da ottenersi per via | intuitiva [… 22] l’esemplare può contenere […] varianti redazionali (nei casi-limite, d’autore) 1985 (titolo articolo) S. Mariotti, Varianti d’autore e varianti di trasmissione, in La critica del testo (Atti) 97-111 1979 Balduino Manuale 233: un maestro della filologia shakesperiana, Walter Wilson Greg, che in un volumetto del 1927 proclamò ancora la necessità di rinunciare preventivamente all’idea di ‘errori comuni’ e di considerare invece le sole ‘varianti semantiche’

Fraseol.: variante = ‘variante d’autore’ (1927), variante di autore (1934), variante d’autore (1934), variante originale (1934)

Etimol. e st.: Da variante (vd. la voce) e autore ‘chi ha creato un’opera letteraria o d’arte’ (av. 1292: DELI) o originale ‘proprio dell’autore di un’opera e simili’ (DELI; cf. Etimol. e st. s.v. originale). Non è chiaro se il semplice variante ‘variante d’autore’ sia una ellissi di variante d’autore oppure se derivi, per estensione semantica, da variante (di fatto le prime attestazioni di variante ‘variante d’autore’ e variante d’autore sono molto vicine, rispettivamente 1927 e 1934). Si potrebbe essere propensi a credere che il nesso variante d’autore sia una traduzione di Giorgio Pasquali dal tedesco: cf. Attestaz. 1934 p. 47 e n. 3 (occorrerebbe però consultare il cit. lavoro di Mewaldt in “Hermes” 46, 1911, pp. 70 sgg.).

Osserv. aggiunt.: Malato s.v. variante da variante redazionale (vd. la voce) come sinonimo di variante d’autore. Si veda anche la v. correzione (2), sinonimo oggi alquanto desueto di variante d’autore.