Il titolo della “prima minuta” dei “Promessi Sposi”

(Gli Sposi promessi, c. 26r)

Correva l’anno 1628, quando due giovani persone d’una terra presso Lecco, di bassa condizione, dovevano all’indomani presentarsi al Paroco D. Abondio per la celebrazione del loro matrimonio. In questo mezzo, verso la sera precedente, D. Abondio, mentre passeggiava lungo il lago recitando il Breviario, s’incontra in due Bravi, che bruscamente lo investono, e lo minacciano di peggio, se assista a quel matrimonio. Il Curato s’intimorisce, e, presentandosi gli Sposi, muove difficoltà per tirare in lungo, e si finge poscia ammalato per non essere importunato.

Comincia così un manoscritto, acquistato alla fine degli anni Ottanta dall’allora Direttore della Villa “Il Caleotto” di Lecco, la casa di proprietà della famiglia Manzoni, venduta da Alessandro poco dopo la morte del padre; ancora oggi uno dei luoghi manzoniani più visitati, con la Casa Manzoni di via Morone a Milano. Un manoscritto misterioso, che ci ha permesso, negli ultimi anni, di scoprire qualcosa di più sulla genesi dei Promessi sposi, e in particolare sul primo abbozzo, privo di titolo, ma da sempre denominato Fermo e Lucia.

Sul frontespizio di questo manoscritto, infatti, si legge chiaramente: Gli Sposi promessi – Storia milanese epilogata nel 1824, e per una cinquantina di pagine prosegue l’“epilogo”, un lungo riassunto, pubblicato nel 2018 dal Centro Nazionale di Studi Manzoniani, a cura di Paola Italia.

I nomi dei personaggi coincidono precisamente con quelli del Fermo e Lucia. Renzo Tramaglino si chiama Fermo Spolino, l’Innominato è il Conte del Sagrato, ma, misteriosamente, Lucia Mondella, che nel Fermo e Lucia è Lucia Zarella, qui è chiamata Lucia Mandelli. Ma anche la trama segue quella della “prima minuta”. Non solo nell’ordine dei fatti raccontati, ma anche in alcuni episodi presenti solo nella prima stesura e poi cambiati o fatti cadere: il convento dei cappuccini dove si reca Ludovico è a Cremona, Fra Cristoforo viene trasferito a Palermo e non a Rimini, e si leggono alcuni episodi successivi alla conversione del Conte del Sagrato, poi soppressi.

Chi ha scritto questo compendio aveva letto o ascoltato il romanzo dopo il 17 settembre 1823, data in cui Manzoni ne termina la prima stesura, e prima che iniziasse a correggerlo, negli ultimi mesi dello stesso 1823, utilizzando, le carte della prima redazione, in modo così fitto da rendere quasi indecifrabile – un vero e proprio lavoro da filologi – il testo sottostante. Ma chi era il copista di questo strano riassunto? E perché, prima che Manzoni iniziasse a correggere il testo, ne aveva voluto mettere in salvo almeno la trama?

Particolare della copia della “Lettera al marchese Cesare Taparelli D’Azeglio Sul Romanticismo” (Museo Manzoniano di Lecco, c. 48r).

Il mistero è ancora fitto, ma qualche indizio lo abbiamo. Viene dal testo copiato, dal medesimo copista, nelle successive trenta pagine del manoscritto lecchese: la Lettera al marchese Cesare Taparelli d’Azeglio sul Romanticismo, scritta pochi giorni dopo avere finito il Fermo e Lucia: il 22 settembre 1823.

Sappiamo che Manzoni non autorizzò subito la pubblicazione della lettera, ma non ne impedì che ne venissero tratte delle copie. In questa, che dovette avere come originale, come “antigrafo”, una copia difettosa, un esemplare cioè in cui, chi aveva copiato il testo aveva saltato una riga – un classico errore da copista – rendendo il senso poco chiaro, l’ignoto copista lasciò uno spazio in bianco (come aveva già fatto in alcuni luoghi del compendio). Solo che, a lavoro finito, andò direttamente da Manzoni a farsi spiegare cosa volesse dire in quel passo poco chiaro. Non sappiamo cosa Manzoni gli disse, ma sappiamo invece come lo aiutò: scrivendo, di suo pugno, una mezza frase, per dare senso al contesto: una variante che non si legge in nessuna delle altre copie fatte trarre dalla lettera al D’Azeglio, e che inventò lì per lì. Se la grafia del compendio non è stata ancora identificata, infatti, in quel passaggio “oscuro” il manoscritto reca una mezza riga scritta proprio direttamente da Manzoni.

Una “variante d’autore”, che dà la prova del fatto che quel manoscritto lo ebbe tra le mani proprio Don Lisander, e che il “compendio”, che occupa la prima parte del manoscritto, è stato scritto, se non da lui (cosa impossibile perché non solo non è autografo, ma Lucia si chiama Mandelli, Abbondio è sempre Abondio, e troppi elementi contrastano con la lingua e lo stile di Manzoni…), da qualcuno della sua cerchia di Brusuglio, forse un prelato, oppure uno dei “fattori” di cui, come per il Cinque Maggio, Manzoni si serviva per redigere le “belle copie”.

E abbiamo anche la prova del fatto che il titolo che campeggia sul manoscritto – ancora un “graffiato e dilavato autografo” è protagonista di questa storia… – Gli Sposi promessi, è, non solo il titolo della “seconda minuta”, ma probabilmente il vero titolo dello straordinario abbozzo che, nei duecento anni dalla nascita del romanzo, è ora proposto alla lettura.