BIBLIOGRAFIA & CRITICA

CINQUE SEMINARI DI

FILOLOGIA EDITORIALE APPLICATA

PRIMO SEMINARIO: IL LAVORO EDITORIALE, VARIANTI E VARIETA’, Università di Napoli, Federico II, Biblioteca Battaglia, 29 novembre, h. 10.00.

Com’è fatto un libro, come si fanno i libri: sempre più spesso, sempre più numerosi, gli studenti universitari, i dottorandi, i giovani ricercatori si pongono queste due domande, a prescindere dagli argomenti di cui si occupano. E cercano risposte di alto profilo teorico e operativo.
Negli ultimi anni ha preso forma una disciplina, la filologia editoriale, cui ancora non corrispondono insegnamenti universitari. I suoi temi e i suoi testi circolano tuttavia rapidamente, a partire dalla discussione che nel 2013, sul decimo numero di «Ecdotica», Paola Italia e Francisco Rico intrecciavano con Roberto Calasso, discussione rilanciata dal numero monografico che «Studi (e Testi) Italiani» ha dedicato nel 2014, curatrice la medesima Italia con Giorgio Pinotti, al tema Editori e filologi. Vi prendono la parola editor di formazione accademica (dal citato Pinotti a Mauro Bersani, da Mariarosa Bricchi a Elisabetta Risari) ai quali si affiancano italianisti, linguisti, filologi testuali (Giulia Raboni, Gino Ruozzi, Paolo Squillacioti, Pasquale Stoppelli, Claudio Vela, Luca Zuliani) che spendono una quota notevole del loro tempo nell’approntare testi scientificamente attendibili per il mercato editoriale, accompagnandoli con paratesti capaci di parlare al lettore in modo rigoroso ed elegante.

Filologia reader oriented e editoria author oriented s’incontrano e si saldano sempre più spesso. Tuttavia, il lavoro sugli autori degli ultimi cento anni (su quei nomi che soltanto da poco sono assurti a classici delle lettere italiane e internazionali, o che si avviano a diventarlo) ha una specificità: la base primaria di ogni ricerca che li riguardi è, giocoforza, di carattere archivistico e bibliografico. Consiste nella ricerca dei loro scritti, spesso dispersi in sedi plurime e improbabili. Consiste nel procacciarsi un corpus testuale e documentario sul quale operare: per ricostruire biografie intellettuali non lacunose, per raccogliere opere complete che siano realmente complete, e infine per dare forma – nei casi più felici – a libri postumi che si potranno definire «libri latenti»: libri potenziali che, lavorando di attenzione e di immaginazione, si finisce con l’estrarre dal disordine di un’opera, libri la cui materia prima sono carte sparpagliate o inedite.
Un «libro latente» è un progetto trasformato in un prodotto, una ricerca innovativa capace di procurarsi uno sbocco editoriale, un processo intellettuale e industriale che coinvolge, legandoli l’uno agli altri, uno scrittore, un curatore e il pubblico dei lettori. Situato fra l’autore e i suoi lettori, il curatore è l’intermediario che dà forma ai libri latenti. È un ricercatore che sa adoperare al meglio ciò che trova, è uno studioso capace di confezionare un oggetto destinato al mercato, è un professionista dell’editoria in grado di concepire, di costruire, di rifinire un libro che i lettori acquisteranno e ameranno: un libro la cui stessa struttura, il cui stesso indice, costituirà un discorso critico implicito – cioè, latente a sua volta – sullo scrittore del quale offre un’immagine inconsueta.

I libri latenti sono dunque il luogo geometrico in cui, all’insegna «Filologia e Critica» promossa nel 1952 da Lanfranco Caretti, viene ad affiancarsi, integrandola e aggiornandola, la dittologia progressiva Bibliografia e Critica: «progressiva» perché intesa a suggerire che l’innovazione critica in merito ai classici contemporanei di ogni paese nasce più facilmente su un terreno nutrito da vaste ricerche d’archivio, da complesse ricostruzioni archivistico-bibliografiche e dipoi filologico-testuali.

Lo studente, il dottorando, il giovane ricercatore che vogliano sapere com’è fatto un libro e come si fanno i libri potranno ripercorrere questo itinerario teorico-operativo nel ciclo dei cinque seminari qui proposti. In ciascuno verrà affrontato un tema, rappresentato da un singolo caso di studio – impersonato da un libro materialmente esistente – il cui impatto pedagogico sarà garantito dall’innervatura di metodo e di ricerca in esso implicita.

PRIMO SEMINARIO, 28 NOVEMBRE 2016: IL LAVORO EDITORIALE, VARIANTI E VARIETÀ

Nel 1937, due giovani studiosi – Gianfranco Contini e Leone Ginzburg – recensivano simultaneamente e con entusiasmo il lavoro del comune maestro Santorre Debenedetti sui Frammenti autografi dell’«Orlando Furioso». Da quel lavoro filologico, e dai due referti critici, sarebbero nati in Italia la filologia delle varianti e una editoria capace di offrire al lettore testi scientificamente impeccabili presentati con chiarezza espositiva, economia di apparati ed eleganza di scrittura.
Ricostruire, su documenti editi e inediti, le vicende della «Nuova raccolta di classici italiani annotati», fondata da Debenedetti e Ginzburg nel 1937 per Giulio Einaudi editore, e inaugurata da Contini due anni più tardi con le Rime di Dante, significa entrare in una pluralità di laboratori – filologico-testuali, editoriali, e persino politici – la cui impronta si lascia decifrare ancora oggi nel meglio della produzione editoriale dedicata ai classici della nostra letteratura, così come in quel nugolo di problemi concreti ai quali ogni giorno un editore e un curatore sono chiamati a trovare la soluzione adeguata.
Come si scrive una prefazione, e che cosa bisogna metterci? E che cos’è invece una nota al testo, che cosa ci va bene e che cosa invece no? Di quante note è necessario corredare un testo antico, e quali informazioni devono contenere? Fin dove è opportuno che sia tecnicamente complicata una nota filologica? Come si stende una cronologia, come si redige una bibliografia? Tutte queste erano domande di allora e sono domande di oggi. Sono norme editoriali in continuo cambiamento, di cui si indagheranno i criteri.

 

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